Ditemi che non sono pazza. Ok, ammetto di non essere del tutto normale, di avere la sindrome di Peter Pan, di esser sempre stata un maschiaccio, anche sotto questo mio aspetto che non lascia ombra di dubbio sul mio genere di appartenenza, di non comportarmi esattamente come ci si aspetterebbe da una "donna ormai fatta", già entrata a far parte del gruppo degli "-anta".
Ditemi che anche voi da bambini avevate una, dieci, mille passioni, dal cantante preferito, al gruppo del cuore, al personaggio di Beverly Hills 90210 di cui cercavate il poster nel "Cioè" di ogni mese. Che anche voi sguazzavate in quella libertà che solo i momenti di gioco con i vostri amichetti potevano regalarvi, dal gioco dell'elastico, al salto con la corda, al vostro sacchettino pieno di biglie di varie dimensioni e dai colori simili agli occhi di un felino, da giocarvi durante l'ora della ricreazione, con l'aria di sfida di chi sa quante lacrime verserà se toccherà a lui perdere quella piccola sfera contenente tutta la magia che solo un bambino può riconoscervi..
Ditemi cha anche voi tornavate a casa con una nota sul diario, che vostra madre vi sgridava e due minuti dopo vi ritrovavate in cortile a giocare a pallone con il vicino, o nel giardino a giocare a nascondino, intorno all'isolato sulla vostra bicicletta...a respirare aria di libertà incontaminata ed incondizionabile.
Ecco, io trovavo la pura essenza di questa sensazione di leggerezza quando indossavo loro:
i miei pattini.
A sette anni me ne regalarono un paio che si allacciava alla scarpa. Una vera e propria arma di autodistruzione per chiunque osasse provare a domarla. Stare in piedi su quegli attrezzi equivaleva a stare in equilibio su 8 biglie, lasciate scivolare su un parquet cosparso di cera d'api.
Mi ci vollero mesi di lividi sul posteriore, mesi di cadute che non poche cicatrici lasciarono sulle mie magrissime gambe, mesi di posture comiche da far invidia a Charlie Chaplin.
Finché un giorno, eccomi glissare sul piazzale del giardino, in equilibrio, ginocchia leggermente piegate (avevo finalmente scoperto la legge fisica del baricentro), braccia in avanti per poter afferrare il primo appiglio che mi si sarebbe presentato davanti e mi avrebbe dato finalmente la possibilità di frenare. Sì, perché quei pattini non erano dotati di quel bozzolo gommoso che oggigiorno troviamo sui pattini a rotelle classici chiamato FRENO. All'epoca frenavi tuffandoti a terra nemmeno tu fossi uno stant-man, o ancora peggio spiaccicandoti contro il muro esterno di casa, spesso e volentieri composto da pareti ruvide e dalla superficie appuntita.
A dieci anni ero ormai un'abile pattinatrice. Certo, le mille altre attività in cui mi cimentai con costanza pari al mio rendimento scolastico (a voi il beneficio del dubbio) quali pallavolo, basket, nuoto, non permettevano un mio costante allenamento sui miei "amici a quattro ruote" ma bastavano quelle lunghe domeniche in cui mia madre ci portava al Bois de la Cambre (uno dei boschi più belli e conosciuti di Bruxelles) dandomi la possibilità di pattinare per ore ed ore sulla pista appositamente costruita, dal pavimento liscio e dal diametro incommensurabile per una bambina così piccola (in senso di età s'intende, poiché a 10 anni ero già la SIGNORINA più alta della classe; molto tempo prima dello sviluppo adolescenziale di tutto il resto della classe che poi divenne più alto di me).
Se chiudo gli occhi lhjioorhnòbòjkgi ok, scusate, li riapro.
Dicevo, se potessi chiudere gli occhi scrivendo, rivedrei mia madre lì, seduta ad un tavolino della Crêperie, sorseggiando la sua tazza di cioccolata calda, mentre lo scapolo del tavolo di fianco cerca di rubarle una parola o due (e spesso ci riusciva), mio fratello sulla sua biciclettina a perdersi per i mille vialetti del bosco allontanandosi sempre più, fin quando mia madre si alzava dal tavolino, urlava il suo nome e lui tornava indietro seguito da venti bambini di cui era diventato leader indiscusso.
Io pattinavo, spesso portavo con me il mio walk-man e potevo fare lo stesso giro antiorario per cinque ore consecutive, con qualche sosta coca-cola o the al limone. Ai miei piedi uno scarponcino azzurro, rosa e nero, ruote di plastica fucsia e sulla mia faccia il sorriso della pura e semplice felicità.
Questi miei nuovi pattini a rotelle versione stivaletto (penso il più apprezzato tra i mille regali di Natale ricevuti in vita mia) mi seguivano ovunque, in Italia durante le vacanze estive (dove li sfoggiavo alla Mazzanta a Vada (LI), e nella strada sotto casa dei miei nonni.
Li portavo giù in Puglia dai parenti di mio padre ma lì aimé non vi erano piste di pattinaggio e le strade non si prestavano a tale attività.
Mano a mano che i tempi difficilissimi dell'adolescenza (maledetta adolescenza) si avvicinavano, i miei pattini subivano la solitudine e l'abbandono. Le quattro ruote infatti stavano per essere accantonate in seguito alla mia scoperta di uno scarponcino ben più leggero e affascinante: il pattino da ghiaccio.
Andava di moda in quel periodo a Bruxelles andare a pattinare sul ghiaccio il venerdì sera, in una pista adiacente ad una tra le più grandi strutture sportive della metropoli.
Il venerdì e il sabato sera, intenti a rimorchiare e a farci rimorchiare a suon di musica house e commerciale, eccoci tutti in pista.
Col tempo i miei pattini sono rimasti sepolti sotto altre nuove passioni, musica, teatro, danza, ragazzi, trucco, moda, viaggi. Quella custodia di pastica contenente i miei scarpoincini misura 35 è andata persa con i vari traslochi, ha vissuto la trasformazione di una bambina in donna e il duro percorso e i cambiamenti che la vita riserva ad una famiglia composta da 4 persone.
La sorpresa.
Qualche mese fa la carrambata tra me e i miei pattini. Cercando in scatoloni polverosi varie foto di classe da mettere su facebook, ho ritrovato lei, la custodia contenente i miei amici d'infanzia inseparabili. Non vi nascondo che non sono riuscita a trattenere le lacrime. Io lì seduta in una cantina, ad abbracciare una coppia di pattini a rotelle. Ho provato anche ad infilarli, sì, così per sfizio, a volte sembra che il mio piede si adatti a qualsiasi piccola misura (avete presente
quei piedi che portano il 35 ma anche il 37?? ecco questi sono i miei!), ma aimé eccomi di fronte all'innegabile verità di non aver mai indossato i miei pattini con la con la consapevolezza che sarebbe stata la nostra ultima volta . Chissà, forse è stato meglio così, averli abbandonati inconsapevolmente.
Poi un sogno.
Venerdì notte sogno e al risveglio ricordo tutto. Sogno di comprare un paio di roller, la versione adulta dei miei pattini a rotelle, li sogno neri con sfumature fucsia, sogno di infilarli e correre, pattinare per le strade di Bologna, con l'aria nei capelli e quella sensazione di libertà che solo i miei ricordi potevano riconoscere.
Il richiamo.
Sabato mattina mi alzo, mi vesto, dall'emozione non mi trucco e copro la stanchezza con occhiali scuri, esco di casa, prendo la macchina e arrivo davanti a Decathlon. Parcheggio, entro quasi con affanno e mi ritrovo davanti al reparto per gli skater, i pattinatori e per i rollerbladers. Prendo due, tre, quattro paia di pattini, quelli classici (due coppie di ruote su due file) e i roller in-line (4 ruote in una fila centrale). E' stata dura la scelta fra quelli classici e più vicini ai miei ricordi e quelli di ultima generazione....ma è anche giusto che l'essere umano impari, almeno in alcuni ambiti, ad adattarsi alle novità.
Infilo il primo paio e provo a farci qualche metro. Giusto il tempo per i miei neuroni assonnati di capire che mi trovo su otto rotelle di plastica ed eccomi a slittare tra gli scaffali del decathlon sotto gli occhi incuriositi e divertiti dei bambini....
Ne ho comprato un paio nero con sfumature di color fucsia, sono tornata a casa con un sorriso particolarmente fresco ed infantile che mio marito giura di non aver mai visto sul mio volto prima d'ora.
Ho passato tre ore di sabato e due di domenica a pattinare sotto casa, ieri ne sentivo già la mancanza poiché tornata a casa dal lavoro era già troppo buio e quindi oggi, bhè, oggi......
(ditemi che non sono pazza, ditemi che anche voi l'avreste fatto.....)
...mi sono portata i pattini al lavoro e sono tornata bambina per un'ora, durante la pausa pranzo.
E chi se ne frega se i miei colleghi mi hanno presa per una squilibrata. Consiglierei a chiunque di recuperare un pezzo d'infanzia dagli scaffali polverosi della memoria e di risvegliarlo, restituirgli la vita e far sì che diventi parte del proprio presente. E' una sensazione di ritrovata appartenenza, di completezza, di leggerezza.
Oggi per un istante...mi è quasi parso di sentire il profumo della Crêperie del Bois de la Cambre.....
Ditemi che anche voi da bambini avevate una, dieci, mille passioni, dal cantante preferito, al gruppo del cuore, al personaggio di Beverly Hills 90210 di cui cercavate il poster nel "Cioè" di ogni mese. Che anche voi sguazzavate in quella libertà che solo i momenti di gioco con i vostri amichetti potevano regalarvi, dal gioco dell'elastico, al salto con la corda, al vostro sacchettino pieno di biglie di varie dimensioni e dai colori simili agli occhi di un felino, da giocarvi durante l'ora della ricreazione, con l'aria di sfida di chi sa quante lacrime verserà se toccherà a lui perdere quella piccola sfera contenente tutta la magia che solo un bambino può riconoscervi..
Ditemi cha anche voi tornavate a casa con una nota sul diario, che vostra madre vi sgridava e due minuti dopo vi ritrovavate in cortile a giocare a pallone con il vicino, o nel giardino a giocare a nascondino, intorno all'isolato sulla vostra bicicletta...a respirare aria di libertà incontaminata ed incondizionabile.
Ecco, io trovavo la pura essenza di questa sensazione di leggerezza quando indossavo loro:
i miei pattini.
A sette anni me ne regalarono un paio che si allacciava alla scarpa. Una vera e propria arma di autodistruzione per chiunque osasse provare a domarla. Stare in piedi su quegli attrezzi equivaleva a stare in equilibio su 8 biglie, lasciate scivolare su un parquet cosparso di cera d'api.
Mi ci vollero mesi di lividi sul posteriore, mesi di cadute che non poche cicatrici lasciarono sulle mie magrissime gambe, mesi di posture comiche da far invidia a Charlie Chaplin.
Finché un giorno, eccomi glissare sul piazzale del giardino, in equilibrio, ginocchia leggermente piegate (avevo finalmente scoperto la legge fisica del baricentro), braccia in avanti per poter afferrare il primo appiglio che mi si sarebbe presentato davanti e mi avrebbe dato finalmente la possibilità di frenare. Sì, perché quei pattini non erano dotati di quel bozzolo gommoso che oggigiorno troviamo sui pattini a rotelle classici chiamato FRENO. All'epoca frenavi tuffandoti a terra nemmeno tu fossi uno stant-man, o ancora peggio spiaccicandoti contro il muro esterno di casa, spesso e volentieri composto da pareti ruvide e dalla superficie appuntita.
A dieci anni ero ormai un'abile pattinatrice. Certo, le mille altre attività in cui mi cimentai con costanza pari al mio rendimento scolastico (a voi il beneficio del dubbio) quali pallavolo, basket, nuoto, non permettevano un mio costante allenamento sui miei "amici a quattro ruote" ma bastavano quelle lunghe domeniche in cui mia madre ci portava al Bois de la Cambre (uno dei boschi più belli e conosciuti di Bruxelles) dandomi la possibilità di pattinare per ore ed ore sulla pista appositamente costruita, dal pavimento liscio e dal diametro incommensurabile per una bambina così piccola (in senso di età s'intende, poiché a 10 anni ero già la SIGNORINA più alta della classe; molto tempo prima dello sviluppo adolescenziale di tutto il resto della classe che poi divenne più alto di me).
Se chiudo gli occhi lhjioorhnòbòjkgi ok, scusate, li riapro.
Dicevo, se potessi chiudere gli occhi scrivendo, rivedrei mia madre lì, seduta ad un tavolino della Crêperie, sorseggiando la sua tazza di cioccolata calda, mentre lo scapolo del tavolo di fianco cerca di rubarle una parola o due (e spesso ci riusciva), mio fratello sulla sua biciclettina a perdersi per i mille vialetti del bosco allontanandosi sempre più, fin quando mia madre si alzava dal tavolino, urlava il suo nome e lui tornava indietro seguito da venti bambini di cui era diventato leader indiscusso.
Io pattinavo, spesso portavo con me il mio walk-man e potevo fare lo stesso giro antiorario per cinque ore consecutive, con qualche sosta coca-cola o the al limone. Ai miei piedi uno scarponcino azzurro, rosa e nero, ruote di plastica fucsia e sulla mia faccia il sorriso della pura e semplice felicità.
Questi miei nuovi pattini a rotelle versione stivaletto (penso il più apprezzato tra i mille regali di Natale ricevuti in vita mia) mi seguivano ovunque, in Italia durante le vacanze estive (dove li sfoggiavo alla Mazzanta a Vada (LI), e nella strada sotto casa dei miei nonni.
Li portavo giù in Puglia dai parenti di mio padre ma lì aimé non vi erano piste di pattinaggio e le strade non si prestavano a tale attività.
Mano a mano che i tempi difficilissimi dell'adolescenza (maledetta adolescenza) si avvicinavano, i miei pattini subivano la solitudine e l'abbandono. Le quattro ruote infatti stavano per essere accantonate in seguito alla mia scoperta di uno scarponcino ben più leggero e affascinante: il pattino da ghiaccio.
Andava di moda in quel periodo a Bruxelles andare a pattinare sul ghiaccio il venerdì sera, in una pista adiacente ad una tra le più grandi strutture sportive della metropoli.
Il venerdì e il sabato sera, intenti a rimorchiare e a farci rimorchiare a suon di musica house e commerciale, eccoci tutti in pista.
Col tempo i miei pattini sono rimasti sepolti sotto altre nuove passioni, musica, teatro, danza, ragazzi, trucco, moda, viaggi. Quella custodia di pastica contenente i miei scarpoincini misura 35 è andata persa con i vari traslochi, ha vissuto la trasformazione di una bambina in donna e il duro percorso e i cambiamenti che la vita riserva ad una famiglia composta da 4 persone.
La sorpresa.
Qualche mese fa la carrambata tra me e i miei pattini. Cercando in scatoloni polverosi varie foto di classe da mettere su facebook, ho ritrovato lei, la custodia contenente i miei amici d'infanzia inseparabili. Non vi nascondo che non sono riuscita a trattenere le lacrime. Io lì seduta in una cantina, ad abbracciare una coppia di pattini a rotelle. Ho provato anche ad infilarli, sì, così per sfizio, a volte sembra che il mio piede si adatti a qualsiasi piccola misura (avete presente
quei piedi che portano il 35 ma anche il 37?? ecco questi sono i miei!), ma aimé eccomi di fronte all'innegabile verità di non aver mai indossato i miei pattini con la con la consapevolezza che sarebbe stata la nostra ultima volta . Chissà, forse è stato meglio così, averli abbandonati inconsapevolmente.
Poi un sogno.
Venerdì notte sogno e al risveglio ricordo tutto. Sogno di comprare un paio di roller, la versione adulta dei miei pattini a rotelle, li sogno neri con sfumature fucsia, sogno di infilarli e correre, pattinare per le strade di Bologna, con l'aria nei capelli e quella sensazione di libertà che solo i miei ricordi potevano riconoscere.
Il richiamo.
Sabato mattina mi alzo, mi vesto, dall'emozione non mi trucco e copro la stanchezza con occhiali scuri, esco di casa, prendo la macchina e arrivo davanti a Decathlon. Parcheggio, entro quasi con affanno e mi ritrovo davanti al reparto per gli skater, i pattinatori e per i rollerbladers. Prendo due, tre, quattro paia di pattini, quelli classici (due coppie di ruote su due file) e i roller in-line (4 ruote in una fila centrale). E' stata dura la scelta fra quelli classici e più vicini ai miei ricordi e quelli di ultima generazione....ma è anche giusto che l'essere umano impari, almeno in alcuni ambiti, ad adattarsi alle novità.
Infilo il primo paio e provo a farci qualche metro. Giusto il tempo per i miei neuroni assonnati di capire che mi trovo su otto rotelle di plastica ed eccomi a slittare tra gli scaffali del decathlon sotto gli occhi incuriositi e divertiti dei bambini....
Ne ho comprato un paio nero con sfumature di color fucsia, sono tornata a casa con un sorriso particolarmente fresco ed infantile che mio marito giura di non aver mai visto sul mio volto prima d'ora.
Ho passato tre ore di sabato e due di domenica a pattinare sotto casa, ieri ne sentivo già la mancanza poiché tornata a casa dal lavoro era già troppo buio e quindi oggi, bhè, oggi......
(ditemi che non sono pazza, ditemi che anche voi l'avreste fatto.....)
...mi sono portata i pattini al lavoro e sono tornata bambina per un'ora, durante la pausa pranzo.
E chi se ne frega se i miei colleghi mi hanno presa per una squilibrata. Consiglierei a chiunque di recuperare un pezzo d'infanzia dagli scaffali polverosi della memoria e di risvegliarlo, restituirgli la vita e far sì che diventi parte del proprio presente. E' una sensazione di ritrovata appartenenza, di completezza, di leggerezza.
Oggi per un istante...mi è quasi parso di sentire il profumo della Crêperie del Bois de la Cambre.....
4 commenti on "Piccole donne crescono"
Sei stata ancora una volta bravissima a descrivere anche i tuoi ricordi di quando eravamo a Bruxelles, mi ero dimenticata che la domenica vi portavo au Bois de la Cambre, anche dove c'era il laghetto ....che bei ricordi!!!! quanti anni sono trascorsi e a me sembra ieri!!!!! un bacio la tua mammina
ps: attenta con i pattini!!! non sei piu' una giovincella!!!!!
...di certo non sarò io a dirti che sei matta! ^___^
Mi hai fatto fare un viaggio nel tempo da far invidia a Marty McFly (ritorno al futuro)....
Anch'io avevo le "ali della libertà" ..verdi...con le ruote nere...ed erano talmente all'avanguardia che si potevano adattare alla misura del piede, in lunghezza, tramite una apposita chiavetta (in dotazione)...
...da ciò ne conseguì la famosa "tabella di marcia" ovvero i turni concordati con i miei fratelli per quando poter "svolazzare" con i mitici pattini!
... e le fibbie con l'attacco di metallo che mi facevano un male cane (soprattutto le prime volte che li indossavo)..ma vuoi mettere la sensazione di libertà??? il dolore??? dopo 5 minuti quasi quasi non lo avvertivo più...
ed ora chi mi riporta al presente??? :-D
ah i tuoi colleghi: tutta invidia!
fatti una bella risata e vola liberaaaaaaaaaa! ;-*
Il mio giocattolo preferito da bambino era un piccolo pianoforte a coda che dentro la coda nascondeva un vero e proprio xilofono con tanto di bacchette...
Lo suonavo da mattino a sera e non mi stancava mai!
Poi stranamente è sparito: durante l'inverno stranamente era nella casa in campagna, durante l'estate si teletrasportava nella casa in città...
Non mi spiegavo la cosa, poi sono arrivato alla conclusione che con la mia monomania musicale causavo il mal di testa ai miei...
Si, probabilmente lo e
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