domenica 14 dicembre 2008

"Vuoi essere la mia M.A.?"

Pubblicato da Micha Soul alle domenica, dicembre 14, 2008
Intradibile. Così mi ha descritta ieri sera la mia migliore amica durante una conversazione telefonica. Una di quelle conversazioni durate due ore e mezza, uno di quei momenti in cui mi dico che sono fortunata ad avere lei nella mia vita.

E' arrivata a Bruxelles quando aveva 6 anni. In prima elementare me la sono trovata in classe e da subito siamo diventate inseparabili. Abbiamo condiviso infanzia e adolescenza. Fino a quando il lavoro di suo padre me l'ha portata via, finita la terza media, nemmeno il tempo di un saluto come si deve, di un abbraccio e di lacrime mischiate, così com'era apparsa dal nulla, quella ragazzina Romana che non potevo guardare Biancaneve senza esclamare "ma quella sei tu, V.!!!!". Era partita, tornando nella città di cui parlava in continuazione e che aveva sempre portato con sé nell'anima, Roma.

Non so se credere al destino o se seguire gli assiomi della psicologia che non ammettono la possibilità che tutto sia già scritto, affermando che ognuno di noi è padrone della propria vita. Nel nostro caso, nessuna delle due poteva evitare questo straziante distacco. Un distacco durato 7 anni (di nuovo il numero 7....), nei quali lei tornava molto saltuariamente a visitare una nostra compagna di scuola cui genitori erano molto amici con i suoi. Restava quei due/tre giorni a Bruxelles, ospite di questa ragazza di cui ero chiaramente gelosissima. Durante quei pochi giorni che la vedevano mia compagna di banco (dopo aver chiesto ai vari professori se potesse entrare in classe spiegando che trattavasi di un ex-alunna che mi stava facendo visita) era come se non ci fossimo mai separate. Riuscivamo in pochissimo tempo a raccontarci le nostre storie, le avventure, le nuove amicizie. Ma più gli anni passavano e più ci scoprivamo diverse da prima e soprattutto diverse l'una dall'altra.

Per spiegare questa diversità è indispensabile che io dedichi poche righe (ci provo!) alla descrizione della scuola che frequentavamo insieme fino alla terza media e che io ho poi frequentato fino al diploma: la Scuola Europea. La scuola Europea è stata creata inizialmente per i figli dei funzionari delle istituzioni europee quali Commissione, Consiglio dei Ministri, Parlamento, ma anche per i figli dei funzionari della N.A.T.O. e successivamente per chiunque avesse un conto in banca tale da permettere l'iscrizione alla suddetta scuola pagando una retta annuale salatissima. Insomma un bel covo di figli di papà, ecco!

Io ho avuto una grandissima fortuna di essere figlia di una delle tante segretarie del Consiglio dei Ministri, e ne ho ricavato il biglietto per il paese dei balocchi. Una scuola dalle strutture ultramoderne, che contava più di 3000 studenti, dalle materna alle superiori, divisi in ben 6 sezioni: sezione tedesca, sezione anglofona, sezione francofona, sezione olandese, sezione portoghese e sezione italiana. Un melting pot europeo che riusciva a far convivere anche dieci nazioni diverse in un'unica scuola, in un unico refettorio, in un unico spazio ricreativo e culturale.

Tutto perfetto e lindo, aule calde, pulite, ordinate, laboratori di scienze munite di un microscopio per alunno, un becco bunsen per alunno, un computer per alunno. Mentre in Italia si studiavano i vari esperimenti sui libri di testo, noi li riproducevamo in laboratorio. Non per niente gli studenti forti nelle materie scientifiche oggi sono degli illustrissimi cardiologi, chirurghi, veterinari, ricercatori in biologia molecolare ecc ecc e quasi tutti lavorano negli States, altri in Svizzera o in Inghilterra. Nessuno in Italia.
Avevamo gli armadietti a mò di college americano, la radio della scuola, un campo da calcio tenuto meglio dello stadio di Anderlecht, circondato da piste degne dei giochi olimpici, a pochi metri una palestra enorme di più di 1000 metri quadrati. Più che ad una palestra, potrei paragonarla al palazzetto dello sport in cui gioca la squadra di Basket Fortitudo qui a Bologna.

Un lusso, sì, era proprio un lusso. Eppure Dio solo sa quanta gioventù bruciata generava quel lusso. La maggior parte di quegli studenti erano figli infelici di genitori assenti, giovani studenti che avevano tutto, troppo, e troppo presto. D'altra parte come in tutte le cose, ci sono sempre due lati di una medaglia.

Quello che ne ho ricavato io, così come la mia inseparabile compagna d'avventura, e così come tante altre persone che col tempo sono riuscita a rivedere e riabbracciare, non è altro che un'apertura mentale che solo vivendo quello che vi ho appena descritto potreste capire. Immaginatevi una bambina che già all'età di 2 anni entra in contatto con bambini di altre nazionalità, che parlano altre lingue, che portano addosso altre culture. Immaginatevi questa bambina che crescendo non distingue il bianco dal nero, il Francese dall'Italiano, l'Olandese dal Portoghese, una bambina che diventa ragazza ed inizia a fumare le prime sigarette con una compagna di banco Olandese e conosce la parola COTTA con un Portoghese dell'Angola. La nostra capacità comunicativa è stata senz'altro sviluppata da questo percorso, da una scuola dall'approccio moderno, anche se troppo classista.

Ecco, arrivata a questo punto immaginatevi una ragazza cresciuta in questo mondo, fiera di essere Italiana e di dimostrare la propria italianità alla sua compagna di banco Irlandese tramite i racconti di una delle tante estati passate al mare a Nettuno, di raccontare quanto sia bella l'Italia, di quanto siano smpatici gli italiani, di quanto gli manchino i suoi amici del mare che rivedrà aimé solo fra un anno. Quegli amici che appena arriva Luglio non vedono l'ora di corteggiare "quella bella ragazza mora che viene da Bruxelles". Immaginatevi questa ragazza Romana alla fine della terza media che prende e torna a vivere in un paese che scoprirà ben presto di non sentire suo poiché poco ha a che fare con l'immaginario che si era lei stessa costruita in base a poche informazioni.
Immaginatevi questa ragazza e la botta in testa che riceverà al primo approccio con la scuola italiana.

Le superiori per la mia V. hanno rappresentato l'incubo che non vorreste mai vivere. Emarginata dai propri connazionali, un'Italiana che all'estero affermava con orgoglio di essere Italiana, ora veniva trattata come una straniera e fatta sedere all'ultimo banco in fondo insieme ad una studentessa Equadoriana. Faccia a faccia con una realtà diametralmente opposta a quella appena abbandonata, strutture scolastiche distrutte, approccio allo studio più teorico, chiusura mentale e formazione di piccoli gruppetti/ghetto di studenti pronti a deriderne altri.

Io non ho vissuto tutto ciò, ma non faccio fatica a capire quanto sia stato difficile per lei.

Solo dopo aver condiviso con me, parecchi anni dopo, i racconti di questa sua disavventura, sono riuscita a capire perché la sua seconda visita a Bruxelles la vedeva vestita dark e con quattro chili di trucco in faccia, mentre un anno dopo il suo nuovo look era una mise classica da ragazzina della Roma perbene. Solo allora capii che stava cercando la sua strada cambiando frequentazioni, cercando di farsi accettare a tutti i costi, anche a costo di perdere la sua identità, per quanto particolare e difficile da sradicare fosse. Il tempo ci aveva divise, piano piano le sue visite a Bruxelles si facevano sempre più rare e ci siamo perse. Ancora nessuna delle due riesce a spiegare come sia successo.

Io e V. ci siamo ritrovate per caso (o per destino) qualche anno prima che mi laureassi a Forlì. Un messaggio sul mio cellulare il giorno del mio ventiquattresimo compleanno: "tanti auguri tesoro, dalla tua M.A.". Non ebbi alcun dubbio, era lei e mi aveva ritrovata.
Da lì in poi non ci siamo mai più lasciate, nonostante i miei mille spostamenti, mille traslochi in altri paesi, ci siamo sempre sentite, ritrovate, come se né il tempo né la lontananza avessero mai potuto separarci.

Gli ultimi anni di scuola senza di lei furono molto duri per la sottoscritta.
Avevo altre amiche sì, ma lei mi mancava e per colmare quel vuoto ho inizato ad interessarmi alla sfera maschile e di rimpiazzare l'amicizia con cotte, delusioni, sesso. Droga mai. Nonostante passasse più droga in quella scuola che in tutto il resto della città, era l'unico modo per continuare a sentirmi volontariamente diversa da tutti quei figli di papà. Mio padre era un parrucchiere e successivamente divenne un ristoratore. Già questo bastava ai miei compagni per considerarmi diversa. Diciamo che della mia diversità facevo la mia forza, traevo tutto ciò che c'era di buono nel frequentare quell'ambiente e ne scartavo il marcio. E grazie a questa mia diversità, una volta uscita da quella scuola mi sono trovata bene ovunque andassi poiché portavo con me il bagaglio di un'esperienza fuori dal comune, amalgamata con una buona dose di umiltà che molto spesso mancava a chi frequentava quegli ambienti.


"Tu sei intradibile, Francy non potrebbe mai tradire una ragazza fantasiosa e aperta come te." Questa la frase che mi ha detto a bassa voce ieri sera tardi al telefono durante una delle tante conversazioni sui tradimenti, sull'amore, sulla difficoltà di portare avanti una relazione. "Voi due siete un esempio per tante coppie, lui è un grande per tutto quello che ha fatto per te a soli 23 anni, sposarti, comprare casa, cambiare quello che andava cambiato, le brutte abitudini, ma tu tesoro, non sei tradibile quindi smettila di dire che se ce la fate voi ce la può fare chiunque".

Io dopo una risata e un attimo di silenzio ho solo risposto:
"Amò, non c'entra niente essere fantasiosi, né essere boni, ricchi, o famosi. C'entra l'aver vissuto ed aver imparato da ciò che hai vissuto. La vita ti dà delle opportunità, delle occasioni, ci sono molti modi per coglierle, molte sfumature con cui ombreggiarne i colori, la scelta a volte è nelle tue mani, a volte no. L'importante è non tradire se stessi, quello che si è è quello che si vive. Non mi sono mai vergognata di sentirmi diversa da tutti. Ma invece di rinchiudermi in me stessa e diventare una persona diffidente, invece di creare un muro tra me e il mondo esterno, ironizzo sul mio essere diversa, sulle mie mancate radici. Ironizzo sul mio accento strano, sul fatto che a Bologna pensano sia Toscana, in Toscana pensano sia di Bologna e a Forlì, solo perché vivevo con una ragazza di Roma di cui avevo assorbito la parlata, pensavano fossi Romana. Ironizzo su questo mio non avere un dialetto, una cadenza che mi faccia appartenere ad una città, ad un paese. Rendo tutto ciò interessante. In realtà sono insicura e spaventata, ma dopo aver vissuto nel paese dei balocchi e averne scoperto le diverse falle, ho ben chiaro quale sia la cosa più imporante...."

"si?? e quale?"

"non cercare mai di essere ciò che non sei".

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