Ci sono periodi in cui tutto mi sembra non avere alcun senso. In cui per qualche attimo la mia anima esce dal mio corpo, mi guarda e mi dice "guarda che hai trentadue anni fra pochi mesi e non hai ancora combinato niente". Ho un'anima esigente. Vuole spronarmi affinché io afferri i sogni, a dominare la mia vita, a cambiarla prima che mi cambi.
Ed alcune volte parto con il giusto entusiasmo, con la giusta carica di convinzione. Poi però, a metà dell'opera mi fermo. E mi deprimo.
Così succede con il mio lavoro, che odio e che amo, che amo e che odio, che dico di amare per non pensare a quanto stupida posso essere io che, laureata e con molte capacità, da 4 anni lavoro per la stessa azienda che mi sottopaga. E ancor più scema mi sento quando penso che due anni fa avrei trovato lavoro facilmente e non ho agguantato l'opportunità, oggi invece mi tocca tener duro fino alla fine di questa crisi che sta facendo perdere il lavoro a troppe persone.
E mi considero un'idiota quando penso che queste otto ore vengono sottratte dalla mia vita, che in queste ore potrei camminare per le foreste dell'Amazzonia, ammirare i templi Maya, nuotare nell'oceano Indiano...ed invece posso solo scoprire questi posti attraverso la mia immaginazione, sognando ad occhi aperti.
Sognare.
Sognare di viaggiare, sognare di vivere con la mia musica, con i miei racconti, conoscere culture diverse, avere una bella casa e tanti figli che corrono felici in giardino. Lavorare da casa ed occuparmi di loro, oltre che di me stessa e di mio marito.
Invece sono qui. Scrivo su questo blog durante la misera ora di pranzo dopo aver svuotato il contenuto del contenitore di plastica dove aspettava di essere inforchettata la mia pasta scotta. Sfogo le mie frustrazioni. Meglio così che con la cattiveria verso altre persone. D'altra parte sono buona, troppo buona e mi faccio mettere i piedi in testa da chiunque. Mille volte mi immagino mentre porto la mia lettera di dimissioni al mio responsabile e nel mio immaginario godo nel vederlo dispiaciuto. Ma ad un tratto mi sveglia dal sogno lo squillo del telefono sulla mia destra, rispondo e mi fiondo nel suo ufficio pronta a farmi sotterrare dal lavoro, provando anche un minimo di simpatia quando cerca di essere divertente, e non riuscendo a dire di no al suo modo eccessivamente amichevole di chiedermi favori. Un ottimo stratega il mio responsabile, che ha ben capito i miei punti deboli e li sfutta senza pietà.
Ma arriverà quel giorno. Arriverà quel giorno in cui con la mia musica riuscirò a viverci, in cui pubblicheranno qualcosa di mio, in cui riuscirò finalmente a rimenere incinta e in cui con gioia immensa poserò sul tavolo quella lettera e due secondi dopo riuscirò a vomitare addosso ad ognuna delle persone che si sono approfittate di me, tutte le verità, le verità dolorose che non vorrebbero mai sentire.
Ed alcune volte parto con il giusto entusiasmo, con la giusta carica di convinzione. Poi però, a metà dell'opera mi fermo. E mi deprimo.
Così succede con il mio lavoro, che odio e che amo, che amo e che odio, che dico di amare per non pensare a quanto stupida posso essere io che, laureata e con molte capacità, da 4 anni lavoro per la stessa azienda che mi sottopaga. E ancor più scema mi sento quando penso che due anni fa avrei trovato lavoro facilmente e non ho agguantato l'opportunità, oggi invece mi tocca tener duro fino alla fine di questa crisi che sta facendo perdere il lavoro a troppe persone.
E mi considero un'idiota quando penso che queste otto ore vengono sottratte dalla mia vita, che in queste ore potrei camminare per le foreste dell'Amazzonia, ammirare i templi Maya, nuotare nell'oceano Indiano...ed invece posso solo scoprire questi posti attraverso la mia immaginazione, sognando ad occhi aperti.
Sognare.
Sognare di viaggiare, sognare di vivere con la mia musica, con i miei racconti, conoscere culture diverse, avere una bella casa e tanti figli che corrono felici in giardino. Lavorare da casa ed occuparmi di loro, oltre che di me stessa e di mio marito.
Invece sono qui. Scrivo su questo blog durante la misera ora di pranzo dopo aver svuotato il contenuto del contenitore di plastica dove aspettava di essere inforchettata la mia pasta scotta. Sfogo le mie frustrazioni. Meglio così che con la cattiveria verso altre persone. D'altra parte sono buona, troppo buona e mi faccio mettere i piedi in testa da chiunque. Mille volte mi immagino mentre porto la mia lettera di dimissioni al mio responsabile e nel mio immaginario godo nel vederlo dispiaciuto. Ma ad un tratto mi sveglia dal sogno lo squillo del telefono sulla mia destra, rispondo e mi fiondo nel suo ufficio pronta a farmi sotterrare dal lavoro, provando anche un minimo di simpatia quando cerca di essere divertente, e non riuscendo a dire di no al suo modo eccessivamente amichevole di chiedermi favori. Un ottimo stratega il mio responsabile, che ha ben capito i miei punti deboli e li sfutta senza pietà.
Ma arriverà quel giorno. Arriverà quel giorno in cui con la mia musica riuscirò a viverci, in cui pubblicheranno qualcosa di mio, in cui riuscirò finalmente a rimenere incinta e in cui con gioia immensa poserò sul tavolo quella lettera e due secondi dopo riuscirò a vomitare addosso ad ognuna delle persone che si sono approfittate di me, tutte le verità, le verità dolorose che non vorrebbero mai sentire.
Intanto faccio la mia ottantesima fotocopia mentre sorrido malinconicamente al prossimo cliente che entra in azienda quasi a volergli far capire di non fermarsi all'apparenza e che non sono stata assunta come receptionist che prepara i caffé, e sì che arriverà il giorno in cui potrò liberarmi dei loro sguardi sessisti e versare il bicchierino di plastica ancora bollente sulle loro belle camicie bianche.