martedì 25 agosto 2009

And the winner is.......

Pubblicato da Micha Soul alle martedì, agosto 25, 2009 0 commenti

Non basta essere una donna precisa nell’abbigliamento e perfettina nell’acconciatura per potersi dire infallibili.
Non basta tener impeccabile una casa e rendere l’ordine sovrano, senza potersi dire disorganizzate.
Basta poco per cucirsi addosso l’appellativo di “svampita”. Ed io nonostante svariati tentativi di scollarmelo di dosso, non perdo occasione per riconfermare il mio modo di essere.

E così, non meravigliatevi se in vacanza cercate di contattarmi e il mio cellulare è sempre spento. Vorrei potervi dire che la grande donna in carriera che c’è in me ha deciso di staccare la spina. In realtà il mio cellulare fa parte di quegli oggetti inanimati che nella borsetta prendono solo spazio ma che mi tornano utili per ammazzare il tempo in una sala d’attesa mentre aspetto il mio turno e gioco al serpente. Sarà appunto per questo motivo che il mio caricabatterie, stufo di rimanere chiuso ed inutilizzato per interi giorni nel cassetto del mobile dell’ingresso, ogni tanto pianifica una fuga e sparisce per intere settimane. Stranamente, quando decido di andare in vacanza o, ancor peggio, quando mi aspetta un viaggio di lavoro.

E così, non meravigliatevi se il primo giorno di ferie, scesa dall’aereo, presi i bagagli e salutato affettuosamente voi amici sempre pronti ad ospitarmi, mi vedo obbligata a farvi cercare una farmacia di turno, un supermercato aperto, per comprare uno spazzolino da denti per me e uno per mio marito. E puntualmente capita che il mio aereo atterri di domenica.

Mio marito ormai non si scompone nemmeno più. Apprende impassibile la brutta notizia dei vari oggetti dimenticati e, appena mi giro dall’altra parte, scuote la testa con aria rassegnata. “Ti ho visto sai? Vuoi che ti ripeta la solita frase? Tu dov’eri mentre preparavo il beautycase?”.
In compenso non dimentico mai vestiti e accessori che avranno l’unica fortuna di “cambiare aria” per poi tornare al punto di partenza ancora piegati e leggermente stropicciati dai viaggi, senza aver potuto godere di una passeggiata o di una minima scossa. Come quei braccialetti d’acciaio inox, che rimangono lì, in fondo alla valigia, contribuendo ai chili extra che per poco non mi costavano tre volte il biglietto con la Ryanair, in quello spazietto originariamente pensato per il caricabatterie e gli spazzolini da denti.

E così non meravigliatevi se, una volta tornata a Bologna, trovate almeno un mio
oggetto in casa vostra. Potrebbe essere un paio di occhiali, un orecchino (chissà come mai, sempre solitario), una cintura, gli spazzolini da denti appena comprati, un reggiseno. La mia solita scusa è il voler tornare a riprenderli, quasi avessi studiato le mie mosse da distratta cronica.
In realtà questa scusa non regge se ogni volta che esco da casa di mio fratello a soli 5 km dalla mia, ricevo una sua telefonata in cui mi elenca i vari oggetti dimenticati in soli 30 minuti di mia permanenza. Spesso, nell’elenco appare anche il cellulare. Ma che importa! La prossima visita dal dottore ce l’ho fra due mesi!

Se non siete ancora convinti che mi sia guadagnata il premio come donna più disorganizzata del ventunesimo secolo, ecco la mia carta jolly.
Per chi non lo sapesse nella mia borsetta non manca mai la macchinetta fotografica digitale. Quella super slim dallo schermo touchpad. Quella che non fai in tempo a dire guarda che bel tramonto che io l’ho già immortalato. Più veloce di un pistolero del west. Usciamo per un aperitivo? Click click click, foto mentre ridi, foto del cameriere, foto di mio marito incazzato, foto del drink, autoscatto mosso ed inguardabile, foto del’interno della borsa. Nero.
E così c’è da meravigliarsi se, arrivati a casa di Claudia e Antonio in quella deliziosa città di Cefalù, mi appresto ad afferrrare la machinetta fotografica obbligatoriamente nella mia borsa a mano, vado per accenderla per poter immortalare il primo momento della nostra primissima vacanza del 2009, mi accorgo che la batteria è inequivocabilmente scarica e la macchinetta non dà alcun segno di vita, nemmeno per una misera fotografia (“una sola, ti prego almeno una!!”), e mentre mi accanisco ad esercitarle il massaggio cardiaco premendo ininterrottamente il pulsante di accensione, la mia pressione cala, divento paonazza, poi blu e viola, mi siedo sul letto in preda al panico e mi rendo conto che solo la detentrice del premio in questione può aver dimenticato il carica batterie della macchinetta fotografica.
Poco male, quello del cellulare è saltato da solo in valigia. No, non ha la funzione di fotocamera, costa 20 euro ed è più vecchio della mia carta d’identità che mi vede residente ancora in Toscana.
Quantomeno, ho il gioco del serpente.

Epilogo: le foto di Cefalù verranno fatte con la macchinetta della mia amica Claudia che oltre ad averci ospitati e trattati da veri re, ha lasciato che la sua macchinetta fotografica diventasse la mia povera vittima durante quello splendido soggiorno.
Peccato che nel trasportare le foto dal suo pc alla mia chiavetta USB, io vi abbia erroneamente selezionato e trascinato i provini e non le foto vere e proprie.

Però non so se avete notato, in vacanza a Cefalù, ho portato una chiavetta USB.

giovedì 20 agosto 2009

Questa donna....

Pubblicato da Micha Soul alle giovedì, agosto 20, 2009 2 commenti


Stava ballando e ridendo con quel suo fare irresistibile, sulle note nere di James Brown, in quella discoteca dell'Avenue Louise. Libera, bella, con un bel lavoro, tanti amici e colleghi pronti a farle la corte, una vita da favola per una donna di 27 anni. Nel 1977 avere 27 anni non era come ai tempi d’oggi. All’epoca, ti bastava essere determinata e con tanta voglia di fare. Umiltà ma anche tanta grinta, capacità linguistiche e pregi unici e rari, riuscivano a farti ottenere anche un impiego degno di essere chiamato tale. Nel suo caso, un contratto da favola con il segretariato del Consiglio dei Ministri e la sicurezza che per i prossimi 100 anni la tua vita sarà uno spasso.Solo qualche anno prima si trovava ancora nella sua città adottiva, un paesino in provincia di Livorno, una perla sul mar Tirreno, Castiglioncello.
Nata in Abruzzo da genitori purosangue che quando si trasferirono in Toscana lei aveva appena due anni. Castiglioncello era ciò che considerava la sua casa, il luogo dei ricordi, delle prime fughe d’amore con il suo primo ragazzino, le avventure passionali con i suoi spasimanti, i primi baci e le prime carezze rubate dietro ad una cabina sul mare, le sue prime follie, i suoi mille pianti e litigi con una madre fredda e assente e con un padre autoritario e severo, un padre-padrone a 360 gradi.
Eppure amava con tutta sé stessa coloro i quali l’avevano messa al mondo ma l’aria che tirava negli anni 50 non lasciava spazio ad effusioni affettive tra genitori e figli. Era indispensabile guardare avanti ed avere come unico obiettivo il lavoro, la ricostruzione di tanti frammenti persi per strada durante la guerra, la prospettiva di costruire quel futuro per sé stessi e per i propri figli, col sudore, con le mani nella terra, senza stare troppo a pensare alle lacune affettive di cui avrebbero sofferto questi figli degli anni 50.
E così come non vi era tempo per abbracci e carezze, non vi era il tempo per soffrire. La sofferenza rimaneva nascosta e dietro ad ogni piccola collina dell’anima, tentava di mostrarsi come il sole all’alba. Così sua madre tentava di soffocare quella sofferenza diventando sempre più di ghiaccio. Ma solo Dio sa quante lacrime le scendevano da quegli occhi blu fino a striare abbondantemente i suoi zigomi pronunciati, quanto male portava dentro per aver abbandonato la sua famiglia in Abruzzo, i suoi fratelli, sua madre, della quale, nonostante i 500 chilometri di distanza, riusciva a percepire il dolore causato dalla mancanza della sua unica figlia femmina, dal disonore di averla vista scappare dopo aver dato alla luce una bambina, senza nemmeno aver avuto il tempo di vederla indossare un abito bianco.
Ora erano lontane.E così questa donna fin da bambina assorbiva la tremenda castrazione mentale della madre, quell’autolesionismo psicologico che la vedeva costantemente triste, quasi stesse per essere sacrificata per l’eternità. Già da piccola questa splendida bambina vivace ebbe il primo approccio con la relazione amorosa sofferta. Mai una carezza o un abbraccio da parte del padre verso sua madre, mai un qualsiasi segno che potesse dimostrare l’esistenza di un sentimento fra i suoi genitori.Castiglioncello.Castiglioncello le ricordava le nottate passate da sola, illuminata da qualche candela, mentre davanti alla pentola a pressione che sbuffava, lei si addormentava sul tavolo della cucina aspettando il ritorno dei suoi genitori. Aveva solo 5 anni. Le ricordava le lunghe camminate in mezzo ai campi dopo la scuola per raggiungere la loro casa sperduta e misera, una casa costruita mattone dopo mattone da suo padre, un uomo dalle mani grosse, dalla voce rauca e dagli occhi lucidi. Un lavoratore, uno di quegli uomini che lasciano la propria orma nella loro intensa vita, uno di quegli uomini che non vi è cosa che non sappiano fare, che in men che non si dica si improvvisano, senza esitazione alcuna, muratori, elettricisti, falegnami, idraulici, ingegneri, architetti e giardinieri. Un bell’uomo che a soli vent’anni rubò lo sguardo della più bella ragazza del paese e se la portò via, e con sé la felicità di una famiglia spezzata in due dalla delusione di aver lasciato una figlia con una buona dote ad un mascalzone scapestrato.
Eppure questo mascalzone non fece mai mancare niente alla sua famiglia. Un uomo d’altri tempi, che con una sola parola decideva della vita di tutti. Partiamo! E così questa donna, allora bambina, si trovò catapultata in un altro mondo, abitato per lo più da persone benestanti, dalla borghesia del dopo-guerra.
E questa donna dovette farsi spazio in questo mondo così diverso da lei, diverso nei mezzi, ma così tanto affine nei modi. Ne aveva paura ma ne era affascinata allo stesso tempo. E così, mise su il suo bel caratterino. Il suo spirito ribelle ed indomabile che gli fu trasmesso dalla sua terra nativa si amalgamava perfettamente con la sua bellezza fine ed irresistibile. Le sue lentiggini, i suoi occhi a cerbiatto ed il nasino alla francese. E se i mezzi le mancavano per seguire le mode del momento, lei prendeva spunto e creava, con quel poco che aveva, il suo stile che niente aveva da invidiare alle sue compagne di scuola più benestanti. Non è solo un luogo comune il concetto di arte associata alla sofferenza. E se la sua infanzia era impregnata di solitudine e mancanza di affetto, la sua creatività andava ampliandosi in diversi settori, nella creazione dei suoi vestiti, nella capacità di arredare con un gusto inimitabile, fino ad arrivare alla creazione artistica più elevata quale la pittura.
1977. Ora era a Bruxelles. Castiglioncello le ricordava i suoi quadri, i suoi appuntamenti con il più ricco ragazzo del paese, gli sguardi di mille uomini, il suo diploma di segretaria d’azienda, i suoi svariati lavoretti per offrirsi qualche svago e per potersi considerare mentalmente indipendente, ma soprattutto il suo incredibile nonché decisivo incontro con quella che diventò, a 25 anni, la sua seconda famiglia.Una famiglia Belga che amava trascorrere l’estate in questo gioiellino di mare e che appena conobbe questa ragazza solare ed innamorata della vita, le fece conoscere, tramite i racconti, terre lontane. E questa ragazzina sognava di evadere, di varcare i confini, di lasciare il suo paese alla ricerca di una vita meno modesta e che le desse maggiori opportunità di esprimersi e di realizzarsi.
Eccola qui, a 27 anni, dopo aver passato un esame per entrare al Consiglio dei Ministri, dopo aver salutato sua madre in lacrime e suo padre offeso nell’orgoglio… “se te ne vai, non tornare mai più. Non sei più mia figlia”.Ma la sua sete di avventura, la sua indomabile ambizione la portò a Bruxelles, senza rimpianti.Adesso guadagnava bene e poteva permettersi un appartamento, non fece mai pesare la sua presenza nella casa che la ospitò per due anni e la sua seconda famiglia era fiera di vedere questa ragazza di paese darsi da fare per trovarsi mille lavori e pagarsi il suo diploma di francese e successivamente la scuola di pubblicità e grafica. Adesso era libera, una donna con la vita in pugno, un avvocato Belga come fidanzato che la riempiva di regali, di viaggi, di quell’amore smisurato a tratti soffocante.
Stava ballando sulle note nere di James Brown mentre vide un tizio al bancone del bar che stava respingendo una biondona ubriaca che gli stava appiccicato. E le salì una rabbia irrefrenabile nel vedere il solito italiano emigrato che sbandierava il suo fascino per ammaliare, usare e respingere qualsiasi donna cascasse ai suoi piedi. Quella sera disse a sé stessa che quell’uomo avrebbe pagato per il suo egocentrismo e si fece avanti per vincere la sua sfida.
Un anno dopo mise al mondo la loro figlia.
Quando scoprì di essere incinta le crollò il mondo addosso e i suoi sogni si frantumarono irrimediabilmente. In quei pochi minuti di incredula consapevolezza, vide l’espressione di sua madre materializzarsi nella sua mente e si immaginò l’ennesimo dolore che le stava per procurare. Sua madre che in tutta la sua vita non aveva fatto altro che soffrire, prima per aver lasciato e deluso i suoi genitori, successivamente per aver vissuto le crisi esistenziali di un’adolescente irrequieta con la smania di voler evadere, infine per aver assistito ad una scena a lei già nota mentre sua figlia preparava i bagagli e saliva su quell’aereo che l’avrebbe portata in Belgio. Per aver subito la rabbia e il dolore di un marito che malediceva ogni giorno quel triste destino segnato da una storia che si ripeteva, quasi fosse un tramandarsi di cattive abitudini da una generazione all’altra.
Solo ora finalmente tutta quella sofferenza sembrava essersi trasformata in serenità. Aveva dimostrato ai suoi genitori quanto valesse portando fiera il suo contratto lavorativo col quale barattò con successo il perdono di suo padre. Suo padre era finalmente riuscito a comprarsi una bella casa grande con tutti i risparmi di una vita di sudore e si godeva il figlio minore, nato 15 anni dopo la primogenita. Questa donna che aveva da poco assaporato la libertà, era riuscita a coronare il suo sogno da donna intraprendente, lontana da un padre che le aveva vietato troppo quando viveva sotto il suo tetto, lontana da una vita fatta di privazioni, e proprio ora che poteva dirsi felice, si ritrovava legata a catene ben più grosse e solide e stava per dire addio ai suoi sogni.
Disse a quell’uomo che voleva abortire, che non se la sentiva, che non si sentiva pronta e non poteva dare un tale dispiacere a sua madre. Che sua madre meritava di vederla in abito bianco, davanti all’altare a giurare amore eterno ad un avvocato o ad un medico, non ad un parrucchiere pugliese e donnaiolo. Per di più, divorziato.Lui, uomo di poche parole, rispose “se perdi la bambina, perdi anche me.”Inutile negarlo, lei ne era innamorata.
Misero in scena un matrimonio civile "riparatore" fasullo e mandarono le foto alla sua famiglia, a dimostrazione del fatto che la loro figlia non sarebbe stata illegittima e che lei, anche se non davanti ad un altare, aveva portato l'abito bianco. Avrebbe nascosto lo stato civile del suo non-marito fino alla sua morte, su questo non ci pioveva. La promessa che fece a sé stessa però non venne mantenuta, poiché dopo uno dei tanti successivi litigi con quell'uomo, chiamò la madre in lacrime e le rivelò la farsa..
E così la vita di questa donna cambiò radicalmente. Certo, non smise mai di essere intraprendente, di godersi la sua libertà, le sue uscite con le colleghe, ma diventò una donna più insicura forse anche a causa delle poche attenzioni che il suo uomo le rivolgeva. Lei cercava di ricoprire il suo ruolo di mamma e di compagna nel migliore dei modi ma la sua natura richiedeva che tutte le attenzioni fossero rivolte a lei. E quel suo carattere determinato, quel lato di sé che l’aveva abituata ad afferrare tutto ciò che desiderava, non poteva accettare di esser stata beffeggiata dalla vita.
Lei che fino a quel momento aveva ottenuto tutto ciò che voleva semplicemente desiderandolo e focalizzandosi sul suo obiettivo, non poteva accettare di essersi innamorata di un uomo che a soli 20 anni si sposò con una ragazza del paese e la stessa notte di nozze scappò abbandonando il tetto coniugale.
Un uomo che sebbene i modi fini e garbati, era pur sempre Italiano e per di più, terrone. Sebbene fosse ai suoi occhi bellissimo ed affascinante, non aveva niente in comune con una donna che amava il lusso, il teatro, l’antiquariato, l’arte, una donna che frequentava spesso e volentieri direttori generali, parlamentari e vari elementi che componevano la crème di quell’ambiente chiamato “elitario”.
Eppure ne era innamorata. Non riusciva a capirne il motivo, ma si sentiva attratta da quest’uomo che a differenza di tutti gli altri, non la faceva sentire speciale. Ed in lei crebbe una sfida che durò ben 30 anni, il bisogno impellente di applicare il suo potere anche su di lui. Così come tutto era sempre andato come lei lo aveva voluto, sarebbe riuscita a cambiare quest’uomo, a renderlo succube della sua bellezza e della sua forza. Doveva andare così, diceva a sé stessa.

Ma ciò non avveniva e non avvenne mai. E meno riusciva a controllare i sentimenti di lui, le sue attenzioni, la vita di quest’uomo che chiamava illegittimamente marito, più veniva affetta da attacchi di nevrosi, da paranoie, da gelosia.
In pochi anni questa donna annullò se stessa e la sua autostima andò a farsi benedire. Si accanì sulla facciata esterna della sua vita, sul costruirla per filo e per segno in base ali suoi sogni, a ciò che la gente avrebbe DOVUTO vedere. L’apparenza diventò il suo unico obiettivo. Una bella casa, dei bei mobili, dei bei figli, un bel marito, abiti firmati, e tutto doveva seguire questo schema affinché gli altri potessero dire che “ce l’aveva fatta”. La realtà aimè era ben diversa, tanto era grande la sua solitudine, tanto era perfetta la superficie esterna. Tanto si sentiva sminuita da suo marito, tanto si accaniva sui figli perché fossero come voleva lei. Questa donna era vittima della sua stessa incapacità di accettare che gli avvenimenti non fossero tutti sotto il suo totale controllo. Da piccola si era ripetuta troppe volte che la sua vita da grande sarebbe stata diversa, che avrebbe vissuto in un altro paese, che sarebbe stata ricca, che avrebbe avuto un uomo che la ricoprisse di attenzioni. E se quasi tutto ciò che lei sognava si avverò, l’unico tassello indomabile, L’AMORE, le iniettò nel sangue il concetto di insoddisfazione.
Possibile che il mondo intero notava quanto fosse perfetta mentre prima i suoi genitori, poi il suo uomo, non riuscivano a gratificarla abbastanza e a vedere in lei quella donna speciale che sapeva di essere?Possibile che da sola cresceva due figli, si occupava di portare avanti una villa splendida arredata con un gusto innegabilmente invidiabile, lavorava otto ore, faceva la spesa, portava i figli a fare le tante attività sportive, preparava la cena, le lavatrici, stirava, e succedeva che alle 23.30 uscisse in giardino per annaffiare i fiori…ed in tutto ciò riusciva a non perdersi per strada gli amici, i colleghi, faceva in modo di presenziare alle serate mondane e modaiole di quella comunità di privilegiati. Possibile che riuscisse a fare tutto ciò, da sola, senza che nessuno mai, fatta eccezione per le persone che la vedevano dall’esterno, la gratificasse?Questa mancanza di gratificazione da parte di suo marito non fece che peggiorare le cose. Lei divenne sempre meno amabile e sempre più nervosa. Si lamentava della mancanza dei suoi genitori quando era in Belgio ma litigava con loro quando tornava a Castiglioncello durante i mesi estivi. Chiaramente, motivo dei litigi era la sua nevrosi, il fatto che si lamentasse costantemente di un marito assente ed indifferente e che raccontasse tutti i loro problemi di coppia. Cosicché i suoi genitori iniziarono ad odiare quest’uomo e succedeva che quando loro gli si mettevano contro, lei faceva un passo indietro e lo giustificava, difendendolo sino a litigare anche con loro.
La sua nevrosi era entrata anche in casa, mentre puliva e sistemava e correva a destra e sinistra, portava sul viso quell’espressione triste, dolorosa, sofferta e rabbiosa. Ci si misero anche i suoi figli ad ampliare questo suo malessere. La primogenita, ribelle e anticonformista come il padre, le ricordava troppo quest’uomo che le aveva rovinato la vita per poter nutrire nei suoi confronti quell’affetto materno che nasce istintivo in tutte le madri del mondo. Le voleva bene certo, ma non sopportava il suo carattere, il suo modo di vestirsi, il suo disordine. Le sembrava di non riuscire a controllare questa figlia e non poteva accettarlo.
Suo figlio invece, secondogenito di 5 anni più piccolo della sorella, rappresentava la seconda immagine maschile più importante. Dopo di lui, veniva suo fratello che, sebbene l’avesse lasciato a Castiglioncello ancora bambino, adesso sentiva più vicino di qualunque altra persona.Era infatti con lui che portava i suoi figli a sciare, con lui che si sfogava, a lui che chiedeva continuamente aiuto. Un aiuto psicologico ad un fratello di 15 anni più giovane che non ebbe la possibilità di vivere serenamente la propria infanzia e adolescenza prima per badare ai suoi genitori e poi ad una sorella in continua crisi esistenziale.
Passavano gli anni, i suoi figli crescevano, nella costante speranza che i loro genitori si sarebbero amati un giorno. Spendevano preghiere rivolte al Signore affinché i genitori smettessero di litigare, che in quella casa arrivasse un po’ di serenità. Invece, le urla si facevano sempre più pesanti, sulle porte sempre più segni della rabbia di un uomo che per non sfogare la sua ira su esseri umani se la prendeva con qualsiasi oggetto inanimato si trovasse di fronte.
Arrivò il (presunto) primo tradimento. Lui se la faceva con la sua assistente, almeno così sembravano dimostrare le varie prove che lei aveva raccolto. Non si seppe mai se fu solo frutto della sua gelosia o se il tradimento avvenne davvero, quello che era certo è che sua figlia, di soli 10 anni, si trovò in mezzo come testimone e consigliere e dovette fare da tramite, da psicologa, da amica, da confidente cosicché in pochi anni crebbe prima del dovuto e in lei si creò quella dipendenza cronica verso il benessere di sua madre, quel suo terrore di vederla soffrire non lasciava spazio per una vita spensierata degna di una bambina della sua età, ma solo di preghiere rivolte a Dio affinché i suoi genitori potessero far pace ed andare d’accordo come si vede in televisione, “Dio voglio vedere un abbraccio” , “Dio ti prego, fa che facciano pace e che non litighino mai più”.
Questa donna si trovò per la prima volta davanti ad una scelta molto importante per la sua vita e quella dei suoi figli. Il suo uomo aveva perso la testa e stava per abbandonare la sua casa, almeno questo era ciò che lui le aveva detto durante uno dei tanti litigi. Lei non aveva più lacrime da consumare e si rese conto ben presto che le lacrime non potevano far leva sulla pietà di un uomo completamente rincoglionito da un’altra donna o semplicemente stufo di una situazione logorante e distruttiva.
Fu così che chiamò suo padre e gli spiegò tutto. Una volta ancora, mise di mezzo i suoi genitori, e questa volta la reazione di quell'omone abruzzese fu ancor più dura. Prese l’aereo e raggiunse sua figlia in Belgio. Appena arrivò a casa afferrò colui che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di marito della sua unica figlia e lo minacciò di impedirgli di vedere i suoi figli se non avesse deciso di mettere la testa a posto una volta per tutte. Ci furono discussioni violente e furono settimane drammatiche per la tensione che si poteva respirare. Tutto sotto gli occhi dei loro due figli ai quali mai nessuno nascose niente e che si ritrovavano ad essere spettatori di un film crudo che lascerà loro cicatrici indelebili.
Dopo questo drammatico episodio, l’uomo terrone e disgraziato decise di dimostrare a suo suocero che non si giudicano le persone in base al mestiere che fanno o allo stipendio che portano a casa. Che non si danno giudizi e non si pronunciano sentenze se solo ad una delle due parti è data la possibilità di dare la propria versione dei fatti.Fu per questo motivo che aprì un ristorante e che iniziò a vivere esclusivamente per il lavoro. Fu così che in pochi anni il suo stipendio arrivò a superare quello di questa donna, un cambiamento di vita che gli costò un’ulcera, tanti bocconi amari da ingoiare e poco tempo a disposizione da dedicare ai suoi figli.
Gli anni passavano. I figli crescevano con i valori e i principi solidi che i genitori riuscirono a tramandar loro, nonostante tutto. Non erano ragazzi comuni, possedevano quella maturità e quel senso di responsabilità che pochi hanno in età adolescenziale.Eppure quell’aria pesante che l’odio fra i due genitori generava in casa, non faceva altro che spingerli a voler scappare. La figlia cercava sicurezza e serenità nelle braccia dei troppi ragazzi, il figlio scaricava il suo disagio sui libri di scuola, disprezzandoli e facendosi passare per un cattivo alunno.
Questa donna non resse a lungo la situazione con suo marito ed iniziò a cercare altro. Cercava certezze in altri uomini ma aveva come unico scopo la speranza che lui si scuotesse e tornasse ad amarla e a desiderarla.Ci furono anni in cui si lasciavano e si riprendevano, si lasciavano e si riprendevano. La figlia nel frattempo si era diplomata e si era trasferita in Italia, lontana da quel paese in cui i ricordi più vivi e forti erano tutt’altro che piacevoli. Fu allora che questa donna decise di cambiare qualcosa nella sua vita, di mettere un punto finale a tutta la storia e voltare pagina. Per il bene di sé stessa, dell’uomo che non l’avrebbe mai resa felice e per il bene di suo figlio che a quel punto rimaneva l’unico appiglio a cui potesse aggrapparsi.
Vendette la villa, si comprò una casetta più piccola e vi andò a vivere con l'unico uomo (anche se all'epoca quindicenne) sul quale poteva ancora esercitare una sorta di potere e di controllo.Riversava in suo figlio tutte le sue attenzioni e pretendeva che suo figlio le ricambiasse sacrificando le uscite con gli amici, sacrificando il suo diritto di vivere la sua età. Ma suo figlio era un osso duro e se molte volte la accontentava, altre volte era irremovibile sulle sue decisioni e la lasciava sul divano in preda ad attacchi di pianto, mentre lui si accingeva ad uscire.
Lei ci provava a stare bene, a pensare a quanta fortuna avesse avuto nella sua vita, ai suoi figli, al suo stipendio, ai suoi genitori ancora in vita, ai tanti uomini pronti a farle ricominciare un nuovo capitolo affettivo. E proprio quando finalmente stava per superare sé stessa e mandare a quel paese la sua sensazione di aver fallito, proprio nel momento in cui stava frequentando un uomo pieno di attenzioni e con il quale avrebbe potuto vivere la sua vita “perfetta” anche se priva di passione, ebbe nuovamente un approccio fisico con suo marito. Si ritrovarono a vivere la loro passione carnale e lui le chiese di sposarlo. Ma questa volta per davvero.
Fin qui sembrerebbe una di quelle storielle hollywoodiane a lieto fine. Ma la vita è ben diversa. C’è bisogno che ve lo dica?
Quel giorno in cui dissero SI in chiesa i loro figli fecero da testimoni ad un evento commovente. Magico. Sua figlia consumò tutte le sue lacrime, ma erano dolci come il miele, non più amare. Erano felici. Le loro preghiere sembravano essere arrivate alle orecchie di Dio o di babbo natale o forse di san Nicola….
Ma il matrimonio non cambiò niente. Anzi, peggiorò la situazione. Colpa di quello stupido pezzo di carta e di ciò che rappresentava per entrambi: Per lei, una certezza che lui sarebbe cambiato, che l’avrebbe apprezzata e amata e desiderata fino alla fine dei loro giorni, la promessa che sarebbero stati insieme e avrebbero passato la vecchiaia in una casa comprata pochi mesi prima a Fuerteventura.Per lui, la consapevolezza di averle finalmente dato una prova che l’amasse (una specie di contentino) e l’illusione di poter fare tutto ciò che voleva, andare a caccia, partire per un mese in Puglia poiché già in pensione e senza impegni, sicuro che lei non si sarebbe lamentata di rimanere da sola a casa... tanto ormai erano sposati! L’uomo ragiona diversamente da una donna e se una donna dice per anni di voler una prova d’amore, l’uomo pensa che UNA sola prova d’amore basti e avanzi, tutto il resto è solo un capriccio, un contorno, una sfumatura.
Nel 2006 la loro figlia, con tanto di abito bianco, convola a nozze in una chiesetta pugliese qualche mese dopo suo fratello. Un'estate torrida sulla costa Ionica. Una festa degna di una principessa. Tutto sembra essere stato dipinto da un Michelangelo, così divino e leggero, i colori del tramonto quel 26 agosto superarono sé stessi.
E proprio il giorno prima del suo matromonio fu la loro figlia a scoprire sul telefonino del padre che a riscaldare le lenzuola del suo papà, quando era fuori casa, ci pensava una giovane tunisina di 25 anni.
Questa donna in pochi minuti perse dieci anni della sua vita. Crisi di pianti, di panico, urla, insulti, un quadretto degno della peggior telenovela sudamericana.
Fu solo grazie ai suoi figli che si salvò. Si salvò dal desiderio di scoprire se al di là di questa vita terrena ci fosse un luogo dove potesse smettere di soffrire…Riuscì ad affrontare un trasloco, riuscì a lasciare il maledetto paese che le diede beni materiali togliendole l’amore. Riuscì a non impazzire sapendo il suo uomo nelle braccia di un’altra.
Ci volle del tempo. ________________________________________
Sono ormai passati tre anni da quando io scoprii che mio padre la stava per lasciare per un'altra più giovane di me. Da quel giorno in cui presi i miei genitori, chiusi le porte della nostra casa in Puglia e dissi a mio padre di sputare il rospo, trattandolo come l'ultimo degli infami, osando alzare la voce davanti a lui, per la prima volta in tutta la mia vita, senza il minimo timore. Tre anni da quando mia madre venne a stare da me dopo la mia luna di miele, tre anni da quando in quel periodo tutte le mattine scendevo a controllare se avesse dormito e baciandole la fronte le dicevo che le volevo bene, anche se assomigliavo troppo a mio padre.Tre anni da quella mattina in cui scesi e la trovai per terra perché durante la notte aveva provato ad alzarsi per bere un bicchier d’acqua ma le gambe le si erano completamente paralizzate a causa dell'ennesimo attacco di ansia.
Sono passati tre anni, sono stati anni duri, in cui la bambina che 20 anni prima faceva da tramite durante i loro litigi, si ritrovava a fare da genitore alla sua stessa madre. Quella bambina che a soli dieci anni tentava con tutte le sue forze di tener saldata la sua famiglia, si ritrovava, 20 anni dopo, a convincere la propria madre che quell'unione non sarebbe mai dovuta esistere. Consapevole, in un certo senso, di esserne stata la causa.
Ora questa donna non so se sia felice. Spesso le persone non capiscono, e troppe volte si è sentita dire di pensare a tutte le fortune che ha. E giù consigli a valanghe… “esci un po' che sei ancora una bellissima donna”, “guarda che bei figli che hai, felicemente sposati, sani, pensa a loro e goditi la tua splendida nipotina”… “ma cosa c’hai da lamentarti tu! sei in pensione a soli 59 anni e puoi andare a Fuerteventura quando ti pare, non c’è nessuno che ti rompa, non devi lavare le mutande a nessuno, che meraviglia!”
E’ vero mamma, le ragioni per cui dovresti sentirti addosso quella felicità che hai sempre cercato sono tante. Forse pochi a questo mondo hanno il privilegio di poterle contare sulle dita di entrambe le mani.

Ma da figlia ti dico che solo quando ti rassegnerai ad accettare che la vita non la si può controllare, quando capirai finalmente che la vita non è altro che un gioco a livelli e che i livelli da superare cambiano da persona a persona, a seconda di ciò che siamo, a seconda di ciò che ci potrà rendere migliori e più forti una volta superati.
Non vi è un finale a questa storia cari lettori, si dice che il tempo cancelli le ferite, per quanto mi riguarda posso dire di aver imparato molto, forse troppo, dall’esperienza dei miei genitori. Un’esperienza che ha lasciato in me alcune crepe difficili da riparare ma che mi ha insegnato che la felicità va trovata individualmente.
Non in una casa, non in uno stipendio, non in un matrimonio. Ma solo in noi stessi. E che una volta trovata questa felicità, saremo ponti a condividerla con chi vuole amarci. Solo amando noi stessi saremo capaci di riconoscere chi sarà in grado di amarci.
Sei ancora in tempo mamma, e so che sei sempre più vicina alla meta perché nonostante la tua sofferenza, sei diventata una donna migliore.
Tua figlia.
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