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giovedì 20 agosto 2009

Questa donna....

Pubblicato da Micha Soul alle giovedì, agosto 20, 2009 2 commenti


Stava ballando e ridendo con quel suo fare irresistibile, sulle note nere di James Brown, in quella discoteca dell'Avenue Louise. Libera, bella, con un bel lavoro, tanti amici e colleghi pronti a farle la corte, una vita da favola per una donna di 27 anni. Nel 1977 avere 27 anni non era come ai tempi d’oggi. All’epoca, ti bastava essere determinata e con tanta voglia di fare. Umiltà ma anche tanta grinta, capacità linguistiche e pregi unici e rari, riuscivano a farti ottenere anche un impiego degno di essere chiamato tale. Nel suo caso, un contratto da favola con il segretariato del Consiglio dei Ministri e la sicurezza che per i prossimi 100 anni la tua vita sarà uno spasso.Solo qualche anno prima si trovava ancora nella sua città adottiva, un paesino in provincia di Livorno, una perla sul mar Tirreno, Castiglioncello.
Nata in Abruzzo da genitori purosangue che quando si trasferirono in Toscana lei aveva appena due anni. Castiglioncello era ciò che considerava la sua casa, il luogo dei ricordi, delle prime fughe d’amore con il suo primo ragazzino, le avventure passionali con i suoi spasimanti, i primi baci e le prime carezze rubate dietro ad una cabina sul mare, le sue prime follie, i suoi mille pianti e litigi con una madre fredda e assente e con un padre autoritario e severo, un padre-padrone a 360 gradi.
Eppure amava con tutta sé stessa coloro i quali l’avevano messa al mondo ma l’aria che tirava negli anni 50 non lasciava spazio ad effusioni affettive tra genitori e figli. Era indispensabile guardare avanti ed avere come unico obiettivo il lavoro, la ricostruzione di tanti frammenti persi per strada durante la guerra, la prospettiva di costruire quel futuro per sé stessi e per i propri figli, col sudore, con le mani nella terra, senza stare troppo a pensare alle lacune affettive di cui avrebbero sofferto questi figli degli anni 50.
E così come non vi era tempo per abbracci e carezze, non vi era il tempo per soffrire. La sofferenza rimaneva nascosta e dietro ad ogni piccola collina dell’anima, tentava di mostrarsi come il sole all’alba. Così sua madre tentava di soffocare quella sofferenza diventando sempre più di ghiaccio. Ma solo Dio sa quante lacrime le scendevano da quegli occhi blu fino a striare abbondantemente i suoi zigomi pronunciati, quanto male portava dentro per aver abbandonato la sua famiglia in Abruzzo, i suoi fratelli, sua madre, della quale, nonostante i 500 chilometri di distanza, riusciva a percepire il dolore causato dalla mancanza della sua unica figlia femmina, dal disonore di averla vista scappare dopo aver dato alla luce una bambina, senza nemmeno aver avuto il tempo di vederla indossare un abito bianco.
Ora erano lontane.E così questa donna fin da bambina assorbiva la tremenda castrazione mentale della madre, quell’autolesionismo psicologico che la vedeva costantemente triste, quasi stesse per essere sacrificata per l’eternità. Già da piccola questa splendida bambina vivace ebbe il primo approccio con la relazione amorosa sofferta. Mai una carezza o un abbraccio da parte del padre verso sua madre, mai un qualsiasi segno che potesse dimostrare l’esistenza di un sentimento fra i suoi genitori.Castiglioncello.Castiglioncello le ricordava le nottate passate da sola, illuminata da qualche candela, mentre davanti alla pentola a pressione che sbuffava, lei si addormentava sul tavolo della cucina aspettando il ritorno dei suoi genitori. Aveva solo 5 anni. Le ricordava le lunghe camminate in mezzo ai campi dopo la scuola per raggiungere la loro casa sperduta e misera, una casa costruita mattone dopo mattone da suo padre, un uomo dalle mani grosse, dalla voce rauca e dagli occhi lucidi. Un lavoratore, uno di quegli uomini che lasciano la propria orma nella loro intensa vita, uno di quegli uomini che non vi è cosa che non sappiano fare, che in men che non si dica si improvvisano, senza esitazione alcuna, muratori, elettricisti, falegnami, idraulici, ingegneri, architetti e giardinieri. Un bell’uomo che a soli vent’anni rubò lo sguardo della più bella ragazza del paese e se la portò via, e con sé la felicità di una famiglia spezzata in due dalla delusione di aver lasciato una figlia con una buona dote ad un mascalzone scapestrato.
Eppure questo mascalzone non fece mai mancare niente alla sua famiglia. Un uomo d’altri tempi, che con una sola parola decideva della vita di tutti. Partiamo! E così questa donna, allora bambina, si trovò catapultata in un altro mondo, abitato per lo più da persone benestanti, dalla borghesia del dopo-guerra.
E questa donna dovette farsi spazio in questo mondo così diverso da lei, diverso nei mezzi, ma così tanto affine nei modi. Ne aveva paura ma ne era affascinata allo stesso tempo. E così, mise su il suo bel caratterino. Il suo spirito ribelle ed indomabile che gli fu trasmesso dalla sua terra nativa si amalgamava perfettamente con la sua bellezza fine ed irresistibile. Le sue lentiggini, i suoi occhi a cerbiatto ed il nasino alla francese. E se i mezzi le mancavano per seguire le mode del momento, lei prendeva spunto e creava, con quel poco che aveva, il suo stile che niente aveva da invidiare alle sue compagne di scuola più benestanti. Non è solo un luogo comune il concetto di arte associata alla sofferenza. E se la sua infanzia era impregnata di solitudine e mancanza di affetto, la sua creatività andava ampliandosi in diversi settori, nella creazione dei suoi vestiti, nella capacità di arredare con un gusto inimitabile, fino ad arrivare alla creazione artistica più elevata quale la pittura.
1977. Ora era a Bruxelles. Castiglioncello le ricordava i suoi quadri, i suoi appuntamenti con il più ricco ragazzo del paese, gli sguardi di mille uomini, il suo diploma di segretaria d’azienda, i suoi svariati lavoretti per offrirsi qualche svago e per potersi considerare mentalmente indipendente, ma soprattutto il suo incredibile nonché decisivo incontro con quella che diventò, a 25 anni, la sua seconda famiglia.Una famiglia Belga che amava trascorrere l’estate in questo gioiellino di mare e che appena conobbe questa ragazza solare ed innamorata della vita, le fece conoscere, tramite i racconti, terre lontane. E questa ragazzina sognava di evadere, di varcare i confini, di lasciare il suo paese alla ricerca di una vita meno modesta e che le desse maggiori opportunità di esprimersi e di realizzarsi.
Eccola qui, a 27 anni, dopo aver passato un esame per entrare al Consiglio dei Ministri, dopo aver salutato sua madre in lacrime e suo padre offeso nell’orgoglio… “se te ne vai, non tornare mai più. Non sei più mia figlia”.Ma la sua sete di avventura, la sua indomabile ambizione la portò a Bruxelles, senza rimpianti.Adesso guadagnava bene e poteva permettersi un appartamento, non fece mai pesare la sua presenza nella casa che la ospitò per due anni e la sua seconda famiglia era fiera di vedere questa ragazza di paese darsi da fare per trovarsi mille lavori e pagarsi il suo diploma di francese e successivamente la scuola di pubblicità e grafica. Adesso era libera, una donna con la vita in pugno, un avvocato Belga come fidanzato che la riempiva di regali, di viaggi, di quell’amore smisurato a tratti soffocante.
Stava ballando sulle note nere di James Brown mentre vide un tizio al bancone del bar che stava respingendo una biondona ubriaca che gli stava appiccicato. E le salì una rabbia irrefrenabile nel vedere il solito italiano emigrato che sbandierava il suo fascino per ammaliare, usare e respingere qualsiasi donna cascasse ai suoi piedi. Quella sera disse a sé stessa che quell’uomo avrebbe pagato per il suo egocentrismo e si fece avanti per vincere la sua sfida.
Un anno dopo mise al mondo la loro figlia.
Quando scoprì di essere incinta le crollò il mondo addosso e i suoi sogni si frantumarono irrimediabilmente. In quei pochi minuti di incredula consapevolezza, vide l’espressione di sua madre materializzarsi nella sua mente e si immaginò l’ennesimo dolore che le stava per procurare. Sua madre che in tutta la sua vita non aveva fatto altro che soffrire, prima per aver lasciato e deluso i suoi genitori, successivamente per aver vissuto le crisi esistenziali di un’adolescente irrequieta con la smania di voler evadere, infine per aver assistito ad una scena a lei già nota mentre sua figlia preparava i bagagli e saliva su quell’aereo che l’avrebbe portata in Belgio. Per aver subito la rabbia e il dolore di un marito che malediceva ogni giorno quel triste destino segnato da una storia che si ripeteva, quasi fosse un tramandarsi di cattive abitudini da una generazione all’altra.
Solo ora finalmente tutta quella sofferenza sembrava essersi trasformata in serenità. Aveva dimostrato ai suoi genitori quanto valesse portando fiera il suo contratto lavorativo col quale barattò con successo il perdono di suo padre. Suo padre era finalmente riuscito a comprarsi una bella casa grande con tutti i risparmi di una vita di sudore e si godeva il figlio minore, nato 15 anni dopo la primogenita. Questa donna che aveva da poco assaporato la libertà, era riuscita a coronare il suo sogno da donna intraprendente, lontana da un padre che le aveva vietato troppo quando viveva sotto il suo tetto, lontana da una vita fatta di privazioni, e proprio ora che poteva dirsi felice, si ritrovava legata a catene ben più grosse e solide e stava per dire addio ai suoi sogni.
Disse a quell’uomo che voleva abortire, che non se la sentiva, che non si sentiva pronta e non poteva dare un tale dispiacere a sua madre. Che sua madre meritava di vederla in abito bianco, davanti all’altare a giurare amore eterno ad un avvocato o ad un medico, non ad un parrucchiere pugliese e donnaiolo. Per di più, divorziato.Lui, uomo di poche parole, rispose “se perdi la bambina, perdi anche me.”Inutile negarlo, lei ne era innamorata.
Misero in scena un matrimonio civile "riparatore" fasullo e mandarono le foto alla sua famiglia, a dimostrazione del fatto che la loro figlia non sarebbe stata illegittima e che lei, anche se non davanti ad un altare, aveva portato l'abito bianco. Avrebbe nascosto lo stato civile del suo non-marito fino alla sua morte, su questo non ci pioveva. La promessa che fece a sé stessa però non venne mantenuta, poiché dopo uno dei tanti successivi litigi con quell'uomo, chiamò la madre in lacrime e le rivelò la farsa..
E così la vita di questa donna cambiò radicalmente. Certo, non smise mai di essere intraprendente, di godersi la sua libertà, le sue uscite con le colleghe, ma diventò una donna più insicura forse anche a causa delle poche attenzioni che il suo uomo le rivolgeva. Lei cercava di ricoprire il suo ruolo di mamma e di compagna nel migliore dei modi ma la sua natura richiedeva che tutte le attenzioni fossero rivolte a lei. E quel suo carattere determinato, quel lato di sé che l’aveva abituata ad afferrare tutto ciò che desiderava, non poteva accettare di esser stata beffeggiata dalla vita.
Lei che fino a quel momento aveva ottenuto tutto ciò che voleva semplicemente desiderandolo e focalizzandosi sul suo obiettivo, non poteva accettare di essersi innamorata di un uomo che a soli 20 anni si sposò con una ragazza del paese e la stessa notte di nozze scappò abbandonando il tetto coniugale.
Un uomo che sebbene i modi fini e garbati, era pur sempre Italiano e per di più, terrone. Sebbene fosse ai suoi occhi bellissimo ed affascinante, non aveva niente in comune con una donna che amava il lusso, il teatro, l’antiquariato, l’arte, una donna che frequentava spesso e volentieri direttori generali, parlamentari e vari elementi che componevano la crème di quell’ambiente chiamato “elitario”.
Eppure ne era innamorata. Non riusciva a capirne il motivo, ma si sentiva attratta da quest’uomo che a differenza di tutti gli altri, non la faceva sentire speciale. Ed in lei crebbe una sfida che durò ben 30 anni, il bisogno impellente di applicare il suo potere anche su di lui. Così come tutto era sempre andato come lei lo aveva voluto, sarebbe riuscita a cambiare quest’uomo, a renderlo succube della sua bellezza e della sua forza. Doveva andare così, diceva a sé stessa.

Ma ciò non avveniva e non avvenne mai. E meno riusciva a controllare i sentimenti di lui, le sue attenzioni, la vita di quest’uomo che chiamava illegittimamente marito, più veniva affetta da attacchi di nevrosi, da paranoie, da gelosia.
In pochi anni questa donna annullò se stessa e la sua autostima andò a farsi benedire. Si accanì sulla facciata esterna della sua vita, sul costruirla per filo e per segno in base ali suoi sogni, a ciò che la gente avrebbe DOVUTO vedere. L’apparenza diventò il suo unico obiettivo. Una bella casa, dei bei mobili, dei bei figli, un bel marito, abiti firmati, e tutto doveva seguire questo schema affinché gli altri potessero dire che “ce l’aveva fatta”. La realtà aimè era ben diversa, tanto era grande la sua solitudine, tanto era perfetta la superficie esterna. Tanto si sentiva sminuita da suo marito, tanto si accaniva sui figli perché fossero come voleva lei. Questa donna era vittima della sua stessa incapacità di accettare che gli avvenimenti non fossero tutti sotto il suo totale controllo. Da piccola si era ripetuta troppe volte che la sua vita da grande sarebbe stata diversa, che avrebbe vissuto in un altro paese, che sarebbe stata ricca, che avrebbe avuto un uomo che la ricoprisse di attenzioni. E se quasi tutto ciò che lei sognava si avverò, l’unico tassello indomabile, L’AMORE, le iniettò nel sangue il concetto di insoddisfazione.
Possibile che il mondo intero notava quanto fosse perfetta mentre prima i suoi genitori, poi il suo uomo, non riuscivano a gratificarla abbastanza e a vedere in lei quella donna speciale che sapeva di essere?Possibile che da sola cresceva due figli, si occupava di portare avanti una villa splendida arredata con un gusto innegabilmente invidiabile, lavorava otto ore, faceva la spesa, portava i figli a fare le tante attività sportive, preparava la cena, le lavatrici, stirava, e succedeva che alle 23.30 uscisse in giardino per annaffiare i fiori…ed in tutto ciò riusciva a non perdersi per strada gli amici, i colleghi, faceva in modo di presenziare alle serate mondane e modaiole di quella comunità di privilegiati. Possibile che riuscisse a fare tutto ciò, da sola, senza che nessuno mai, fatta eccezione per le persone che la vedevano dall’esterno, la gratificasse?Questa mancanza di gratificazione da parte di suo marito non fece che peggiorare le cose. Lei divenne sempre meno amabile e sempre più nervosa. Si lamentava della mancanza dei suoi genitori quando era in Belgio ma litigava con loro quando tornava a Castiglioncello durante i mesi estivi. Chiaramente, motivo dei litigi era la sua nevrosi, il fatto che si lamentasse costantemente di un marito assente ed indifferente e che raccontasse tutti i loro problemi di coppia. Cosicché i suoi genitori iniziarono ad odiare quest’uomo e succedeva che quando loro gli si mettevano contro, lei faceva un passo indietro e lo giustificava, difendendolo sino a litigare anche con loro.
La sua nevrosi era entrata anche in casa, mentre puliva e sistemava e correva a destra e sinistra, portava sul viso quell’espressione triste, dolorosa, sofferta e rabbiosa. Ci si misero anche i suoi figli ad ampliare questo suo malessere. La primogenita, ribelle e anticonformista come il padre, le ricordava troppo quest’uomo che le aveva rovinato la vita per poter nutrire nei suoi confronti quell’affetto materno che nasce istintivo in tutte le madri del mondo. Le voleva bene certo, ma non sopportava il suo carattere, il suo modo di vestirsi, il suo disordine. Le sembrava di non riuscire a controllare questa figlia e non poteva accettarlo.
Suo figlio invece, secondogenito di 5 anni più piccolo della sorella, rappresentava la seconda immagine maschile più importante. Dopo di lui, veniva suo fratello che, sebbene l’avesse lasciato a Castiglioncello ancora bambino, adesso sentiva più vicino di qualunque altra persona.Era infatti con lui che portava i suoi figli a sciare, con lui che si sfogava, a lui che chiedeva continuamente aiuto. Un aiuto psicologico ad un fratello di 15 anni più giovane che non ebbe la possibilità di vivere serenamente la propria infanzia e adolescenza prima per badare ai suoi genitori e poi ad una sorella in continua crisi esistenziale.
Passavano gli anni, i suoi figli crescevano, nella costante speranza che i loro genitori si sarebbero amati un giorno. Spendevano preghiere rivolte al Signore affinché i genitori smettessero di litigare, che in quella casa arrivasse un po’ di serenità. Invece, le urla si facevano sempre più pesanti, sulle porte sempre più segni della rabbia di un uomo che per non sfogare la sua ira su esseri umani se la prendeva con qualsiasi oggetto inanimato si trovasse di fronte.
Arrivò il (presunto) primo tradimento. Lui se la faceva con la sua assistente, almeno così sembravano dimostrare le varie prove che lei aveva raccolto. Non si seppe mai se fu solo frutto della sua gelosia o se il tradimento avvenne davvero, quello che era certo è che sua figlia, di soli 10 anni, si trovò in mezzo come testimone e consigliere e dovette fare da tramite, da psicologa, da amica, da confidente cosicché in pochi anni crebbe prima del dovuto e in lei si creò quella dipendenza cronica verso il benessere di sua madre, quel suo terrore di vederla soffrire non lasciava spazio per una vita spensierata degna di una bambina della sua età, ma solo di preghiere rivolte a Dio affinché i suoi genitori potessero far pace ed andare d’accordo come si vede in televisione, “Dio voglio vedere un abbraccio” , “Dio ti prego, fa che facciano pace e che non litighino mai più”.
Questa donna si trovò per la prima volta davanti ad una scelta molto importante per la sua vita e quella dei suoi figli. Il suo uomo aveva perso la testa e stava per abbandonare la sua casa, almeno questo era ciò che lui le aveva detto durante uno dei tanti litigi. Lei non aveva più lacrime da consumare e si rese conto ben presto che le lacrime non potevano far leva sulla pietà di un uomo completamente rincoglionito da un’altra donna o semplicemente stufo di una situazione logorante e distruttiva.
Fu così che chiamò suo padre e gli spiegò tutto. Una volta ancora, mise di mezzo i suoi genitori, e questa volta la reazione di quell'omone abruzzese fu ancor più dura. Prese l’aereo e raggiunse sua figlia in Belgio. Appena arrivò a casa afferrò colui che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di marito della sua unica figlia e lo minacciò di impedirgli di vedere i suoi figli se non avesse deciso di mettere la testa a posto una volta per tutte. Ci furono discussioni violente e furono settimane drammatiche per la tensione che si poteva respirare. Tutto sotto gli occhi dei loro due figli ai quali mai nessuno nascose niente e che si ritrovavano ad essere spettatori di un film crudo che lascerà loro cicatrici indelebili.
Dopo questo drammatico episodio, l’uomo terrone e disgraziato decise di dimostrare a suo suocero che non si giudicano le persone in base al mestiere che fanno o allo stipendio che portano a casa. Che non si danno giudizi e non si pronunciano sentenze se solo ad una delle due parti è data la possibilità di dare la propria versione dei fatti.Fu per questo motivo che aprì un ristorante e che iniziò a vivere esclusivamente per il lavoro. Fu così che in pochi anni il suo stipendio arrivò a superare quello di questa donna, un cambiamento di vita che gli costò un’ulcera, tanti bocconi amari da ingoiare e poco tempo a disposizione da dedicare ai suoi figli.
Gli anni passavano. I figli crescevano con i valori e i principi solidi che i genitori riuscirono a tramandar loro, nonostante tutto. Non erano ragazzi comuni, possedevano quella maturità e quel senso di responsabilità che pochi hanno in età adolescenziale.Eppure quell’aria pesante che l’odio fra i due genitori generava in casa, non faceva altro che spingerli a voler scappare. La figlia cercava sicurezza e serenità nelle braccia dei troppi ragazzi, il figlio scaricava il suo disagio sui libri di scuola, disprezzandoli e facendosi passare per un cattivo alunno.
Questa donna non resse a lungo la situazione con suo marito ed iniziò a cercare altro. Cercava certezze in altri uomini ma aveva come unico scopo la speranza che lui si scuotesse e tornasse ad amarla e a desiderarla.Ci furono anni in cui si lasciavano e si riprendevano, si lasciavano e si riprendevano. La figlia nel frattempo si era diplomata e si era trasferita in Italia, lontana da quel paese in cui i ricordi più vivi e forti erano tutt’altro che piacevoli. Fu allora che questa donna decise di cambiare qualcosa nella sua vita, di mettere un punto finale a tutta la storia e voltare pagina. Per il bene di sé stessa, dell’uomo che non l’avrebbe mai resa felice e per il bene di suo figlio che a quel punto rimaneva l’unico appiglio a cui potesse aggrapparsi.
Vendette la villa, si comprò una casetta più piccola e vi andò a vivere con l'unico uomo (anche se all'epoca quindicenne) sul quale poteva ancora esercitare una sorta di potere e di controllo.Riversava in suo figlio tutte le sue attenzioni e pretendeva che suo figlio le ricambiasse sacrificando le uscite con gli amici, sacrificando il suo diritto di vivere la sua età. Ma suo figlio era un osso duro e se molte volte la accontentava, altre volte era irremovibile sulle sue decisioni e la lasciava sul divano in preda ad attacchi di pianto, mentre lui si accingeva ad uscire.
Lei ci provava a stare bene, a pensare a quanta fortuna avesse avuto nella sua vita, ai suoi figli, al suo stipendio, ai suoi genitori ancora in vita, ai tanti uomini pronti a farle ricominciare un nuovo capitolo affettivo. E proprio quando finalmente stava per superare sé stessa e mandare a quel paese la sua sensazione di aver fallito, proprio nel momento in cui stava frequentando un uomo pieno di attenzioni e con il quale avrebbe potuto vivere la sua vita “perfetta” anche se priva di passione, ebbe nuovamente un approccio fisico con suo marito. Si ritrovarono a vivere la loro passione carnale e lui le chiese di sposarlo. Ma questa volta per davvero.
Fin qui sembrerebbe una di quelle storielle hollywoodiane a lieto fine. Ma la vita è ben diversa. C’è bisogno che ve lo dica?
Quel giorno in cui dissero SI in chiesa i loro figli fecero da testimoni ad un evento commovente. Magico. Sua figlia consumò tutte le sue lacrime, ma erano dolci come il miele, non più amare. Erano felici. Le loro preghiere sembravano essere arrivate alle orecchie di Dio o di babbo natale o forse di san Nicola….
Ma il matrimonio non cambiò niente. Anzi, peggiorò la situazione. Colpa di quello stupido pezzo di carta e di ciò che rappresentava per entrambi: Per lei, una certezza che lui sarebbe cambiato, che l’avrebbe apprezzata e amata e desiderata fino alla fine dei loro giorni, la promessa che sarebbero stati insieme e avrebbero passato la vecchiaia in una casa comprata pochi mesi prima a Fuerteventura.Per lui, la consapevolezza di averle finalmente dato una prova che l’amasse (una specie di contentino) e l’illusione di poter fare tutto ciò che voleva, andare a caccia, partire per un mese in Puglia poiché già in pensione e senza impegni, sicuro che lei non si sarebbe lamentata di rimanere da sola a casa... tanto ormai erano sposati! L’uomo ragiona diversamente da una donna e se una donna dice per anni di voler una prova d’amore, l’uomo pensa che UNA sola prova d’amore basti e avanzi, tutto il resto è solo un capriccio, un contorno, una sfumatura.
Nel 2006 la loro figlia, con tanto di abito bianco, convola a nozze in una chiesetta pugliese qualche mese dopo suo fratello. Un'estate torrida sulla costa Ionica. Una festa degna di una principessa. Tutto sembra essere stato dipinto da un Michelangelo, così divino e leggero, i colori del tramonto quel 26 agosto superarono sé stessi.
E proprio il giorno prima del suo matromonio fu la loro figlia a scoprire sul telefonino del padre che a riscaldare le lenzuola del suo papà, quando era fuori casa, ci pensava una giovane tunisina di 25 anni.
Questa donna in pochi minuti perse dieci anni della sua vita. Crisi di pianti, di panico, urla, insulti, un quadretto degno della peggior telenovela sudamericana.
Fu solo grazie ai suoi figli che si salvò. Si salvò dal desiderio di scoprire se al di là di questa vita terrena ci fosse un luogo dove potesse smettere di soffrire…Riuscì ad affrontare un trasloco, riuscì a lasciare il maledetto paese che le diede beni materiali togliendole l’amore. Riuscì a non impazzire sapendo il suo uomo nelle braccia di un’altra.
Ci volle del tempo. ________________________________________
Sono ormai passati tre anni da quando io scoprii che mio padre la stava per lasciare per un'altra più giovane di me. Da quel giorno in cui presi i miei genitori, chiusi le porte della nostra casa in Puglia e dissi a mio padre di sputare il rospo, trattandolo come l'ultimo degli infami, osando alzare la voce davanti a lui, per la prima volta in tutta la mia vita, senza il minimo timore. Tre anni da quando mia madre venne a stare da me dopo la mia luna di miele, tre anni da quando in quel periodo tutte le mattine scendevo a controllare se avesse dormito e baciandole la fronte le dicevo che le volevo bene, anche se assomigliavo troppo a mio padre.Tre anni da quella mattina in cui scesi e la trovai per terra perché durante la notte aveva provato ad alzarsi per bere un bicchier d’acqua ma le gambe le si erano completamente paralizzate a causa dell'ennesimo attacco di ansia.
Sono passati tre anni, sono stati anni duri, in cui la bambina che 20 anni prima faceva da tramite durante i loro litigi, si ritrovava a fare da genitore alla sua stessa madre. Quella bambina che a soli dieci anni tentava con tutte le sue forze di tener saldata la sua famiglia, si ritrovava, 20 anni dopo, a convincere la propria madre che quell'unione non sarebbe mai dovuta esistere. Consapevole, in un certo senso, di esserne stata la causa.
Ora questa donna non so se sia felice. Spesso le persone non capiscono, e troppe volte si è sentita dire di pensare a tutte le fortune che ha. E giù consigli a valanghe… “esci un po' che sei ancora una bellissima donna”, “guarda che bei figli che hai, felicemente sposati, sani, pensa a loro e goditi la tua splendida nipotina”… “ma cosa c’hai da lamentarti tu! sei in pensione a soli 59 anni e puoi andare a Fuerteventura quando ti pare, non c’è nessuno che ti rompa, non devi lavare le mutande a nessuno, che meraviglia!”
E’ vero mamma, le ragioni per cui dovresti sentirti addosso quella felicità che hai sempre cercato sono tante. Forse pochi a questo mondo hanno il privilegio di poterle contare sulle dita di entrambe le mani.

Ma da figlia ti dico che solo quando ti rassegnerai ad accettare che la vita non la si può controllare, quando capirai finalmente che la vita non è altro che un gioco a livelli e che i livelli da superare cambiano da persona a persona, a seconda di ciò che siamo, a seconda di ciò che ci potrà rendere migliori e più forti una volta superati.
Non vi è un finale a questa storia cari lettori, si dice che il tempo cancelli le ferite, per quanto mi riguarda posso dire di aver imparato molto, forse troppo, dall’esperienza dei miei genitori. Un’esperienza che ha lasciato in me alcune crepe difficili da riparare ma che mi ha insegnato che la felicità va trovata individualmente.
Non in una casa, non in uno stipendio, non in un matrimonio. Ma solo in noi stessi. E che una volta trovata questa felicità, saremo ponti a condividerla con chi vuole amarci. Solo amando noi stessi saremo capaci di riconoscere chi sarà in grado di amarci.
Sei ancora in tempo mamma, e so che sei sempre più vicina alla meta perché nonostante la tua sofferenza, sei diventata una donna migliore.
Tua figlia.

giovedì 5 marzo 2009

Frank (capitolo 1)

Pubblicato da Micha Soul alle giovedì, marzo 05, 2009 6 commenti

 

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Tutte abbiamo avuto un Frank nella nostra vita.

Un grande amore seguito da un altrettanto grande dolore.


Il mio aveva all'epoca 42 anni ed era la bella copia di Hugh Grant.


Mi ero laureata da poco, a Marzo del 2003. In Agosto mi trasferii alle Canarie, dove iniziai a gestire un internet-caffè sull'allora desertica Fuerteventura.


Lasciai alle spalle due anni e mezzo di fidanzamento con un bravissimo ragazzo diventato troppo amico per potermi considerare innamorata.

Interruppi anche la storiella nata da pochi mesi con un ragazzo di Sanremo, conosciuto tramite un sito di musica black, che feci la pazzia di andare a trovare prendendo l'aereo dalla mia città natale in cui tornai dopo la laurea, Bruxelles.

Tre giorni di passione, ma a quel tempo il mio cuore sembrava essere rinchiuso in una patina di ghiaccio.

Arrivai su quell'isola e sentii che stava per iniziare una terza vita. Era giunta l'ora, a 25 anni, di conoscere me stessa.

 

Fino a quel punto la conoscenza del mio io avveniva attraverso gli uomini, lo studio, gli esami, la famiglia. Lì eravamo soli, io e il mare, quello specchio infinito nel quale riflettersi e parlarsi, conoscersi e capirsi.

 

Di quella mia terza vita, ora che sto vivendo la mia quinta, ricordo l'odore della spiaggia alle 6.00 di mattina, quando uscivo di casa per passeggiare e respirare la vita prima di recarmi al supermercato e fare rifornimento per il bar.

Ricordo la fatica, i piedi indolenziti a fine giornata, la schiena a pezzi, il portafoglio pieno di banconote sudate e diligentemente riposte nella cassaforte di casa. Ricordo le prime gaffe, il periodo di apprendimento nel quale mio fratello, venuto in mio soccorso per un paio di mesi, mi

bacchettava se fra un cocktail preparato e un caffé servito al tavolo "degli Italiani", facevo una pausa su internet.

Ricordo settembre di quell'anno, quando prese l'aereo in direzione di Bologna e io rimasi sola nella casa dei miei, una casa che acquistarono molti anni prima che quell'isola fosse scoperta dal turismo europeo.

Una casa che non riuscivo a sentire mia e che diventò il luogo di rifugio dopo giornate di lavoro pesante, seguite da nottate in discoteca ad ubriacarmi con pampero e coca-cola.

 

Ricordo quel giorno, l'unico in tutta la settimana, in cui entrai a lavorare alle 11.00, fiera della mia "dipendente" che nel frattempo aveva aperto, sistemato i tavoli fuori, acceso le luci e i pc e comprato le brioches.
Ricordo quando mi disse che giù c'era un cliente al pc n. 4 e mi chiese se potevo portargli la spremuta d'arancia.

Ricordo tutto e mentre scrivo non vi nego che mi tremano le mani. Ricordo che andai verso di lui con mille pensieri in testa, il mare, le scarpe viste nella vetrina accanto e la voglia di comprarle per la prossima serata al Waikiki...ma quando i miei occhi incrociarono i suoi e vidi il suo volto mi innamorai.

Capii per la prima volta in 25 anni che il famoso Colpo di Fulmine esisteva davvero, non era un’invenzione hollywoodiana.

 

Proprio lì, su quell'isola, lontana dal bisogno di cercare certezza e sicurezza in una relazione che non portava a niente, proprio lì nella mia piena convinzione di voler rimanere single a vita e godermi ogni momento come se fosse l'ultimo, persi la testa.


Ricordo quando lui uscì dal bar e io senza pensarci un attimo scesi giù e mi misi al suo pc, nel folle tentativo di trovarvi un indizio, un modo per rivederlo.
Non so se credere al destino, ai segni, al fatto che tutto sia già scritto, posso solo dirvi che la schermata era quella di hotmail e nella voce username vi era il suo indirizzo e-mail.
Gli scrissi che lo volevo conoscere, nascosi la mia vera identità ma dopo poche e-mail scambiate ci trovammo in un bar sperduto, tre giorni dopo dal primo incrocio di sguardi, e lui mi svelò che aveva capito da subito che fossi io.

Quella sera facemmo l'amore nell'appartamento che aveva affittato con un amico con la sua stessa passione per il kite-surf, e che avrebbe dovuto lasciare il giorno dopo per fare ritorno nella sua terra d'origine: l'Irlanda.

Oh, Frank.
Il giorno in cui partisti mi sentii incredibilmente vuota, e dire che di te conoscevo il nome, pochi dettagli della tua vita e del tuo lavoro, ma passai le 5 ore più intense della mia vita.

 

Non appena atterrò in Irlanda mi chiamò. Disse che voleva rivedermi, che era stato tutto così veloce, onirico, che non ci capiva più niente. Stesse mie sensazioni.


Dopo una settimana di telefonate, di stomaco chiuso, presi un aereo e lo raggiunsi in Irlanda per due giorni.
Andammo avanti così per un paio di mesetti, sentendoci con passione via etere, vedendoci di sfuggita in qualche posto sperduto d'Europa, che potesse essere una buona via di mezzo per entrambi. I voli insisteva per pagarli lui, si rifiutava di farmi spendere quelle cifre di denaro incredibili per un biglietto aereo preso all'ultimo momento. Mi disse che era un consulente finanziario, che aveva appena venduto la sua casa per dedicarsi alla laurea che aveva l'intenzione di conseguire….Si sarebbe iscritto all’università proprio dopo le vacanze

estive ma adesso tutto era così confuso....io non potevo dargli nessun consiglio ma chiaramente speravo che decidesse di trasferirsi sulla nostra isola. Aspettai che venisse fuori da sola la possibilità di convivere insieme in casa dei miei, fino a quando non avremmo trovato un'altra sistemazione.
E così seguì una pazzia dopo l'altra. Rinunciò al suo sogno di iscriversi all'università, si trasferì a Fuerteventura dove avrebbe ripreso a lavorare da casa come consulente finanziario.

Scoprii la sua età solo molto tempo dopo perché ogni qualvolta cercassi di chiedere il suo anno di nascita, cambiava argomento. Sapevo che era più grande di me, pensavo avesse sui 35 anni, almeno

quelli erano quelli che dimostrava. Quando una notte di nascosto mentre dormiva andai a frugare nel portafogli per scovarne la carta di identità sentii il cuore arrivarmi in gola nel momento in cui i miei occhi videro l'anno di nascita: 1961.
Quest'uomo aveva fatto un patto col diavolo.


La cosa mi piaceva, lui mi attraeva da morire, l'idea che avesse avuto una vita colma di esperienze, di donne, di viaggi...mi eccitava il fatto di parlare con lui un'altra lingua, di trovare affinità caratteriali nonostante la nostre diverse età e origini.
Stavo vivendo un sogno ad occhi aperti. Il sesso splendido, una grandissima complicità, un umorismo caratterizzato da molta auto-ironia che ci accomunava...mi piaceva l'idea di tornare a casa per l'ora di pranzo e vederlo fuori col portatile a lavorare, o in terrazza a prendere il sole con bottiglia di birra in mano e cellulare per affari nell'altra....

Ricordo l'acquisto dei mobili per la casetta che avevamo trovato da prendere in affitto in un residence con piscina, una casetta piccola ma in una posizione ottima e con tanto di solarium sul tetto. Ricordo il giorno in cui entravo a lavorare più tardi, noi due appena alzati dal letto per il troppo sole che entrava dalle finestre munite di sottilissime tendine poco coprenti, a tuffarci in piscina per svegliarci nel migliore dei modi.....

 

Ricordo tutto questo incanto come fosse accaduto ieri.

 

Così come ricordo le prime notti in cui lui si alzava, si sedeva nel soggiorno con una tazza di té in mano e una sigaretta nell'altra, dopo mezz'ora mi alzavo anch'io per andare a vedere cosa fosse

successo e lo vedevo lì, nel buio, a fissare un punto e a pensare. Ricordo quando mi diceva di tornare a letto e che lui dopo poco mi avrebbe raggiunta. Ma spesso mi riaddormentavo molto prima, in una faticosa attesa di sentirlo vicino a me…

Ricordo le nostre litigate per le critiche che gli rivolgevo riguardo a quei 3 pacchetti di sigarette consumati al giorno. Ricordo quando mi diceva che stava bene, che aveva solo qualche pensiero riguardo al lavoro, ma nulla di grave. Ricordo il distacco che si andava creando, le sue carezze sulla mia pelle, mentre la sua mente era lontana da noi.

 

Ricordo la prima volta che mi disse di dover andare a Dublino per qualche settimana. Ricordo anche che ci rimasi male perché partiva qualche giorno prima del mio ventiseiesimo compleanno. Mi disse di andare con lui ma sapeva benissimo che il locale non stava lavorando molto con la bassa stagione e con il brutto tempo che aveva reso Dicembre e Gennaio due mesi di perdita a livello di entrate.

Non potevo permettermi di pagare qualcuno che prendesse il mio posto, anche se per poche settimane.

Mi ricordo che lui risolveva tutto rispondendo "pago io" e io dentro di me mi chiedevo quante risorse avesse ancora in banca dopo tutti i soldi spesi negli ultimi 6 mesi.

 

Ricordo che dopo due settimane non resistevo, mi mancava e le sue chiamate si facevano sempre più rare.
Ricordo il suo poco entusiasmo nel sentire la mia decisione di raggiungerlo, così come mi ricordo l'accoglienza fredda che mi aspettava.
Entrammo in questo residence immenso nel verde, uno di quei residence da ricconi, aveva affittato una casa con 3 stanze da letto, tutto perfettamente arredato in stile vittoriano, un lusso che avevo visto in pochissimi hotel fino a quel momento.


Ricordo il litigio che scattò quando gli dissi che lo vedevo freddo, che negli ultimi mesi lo vedevo cambiato e che secondo me non provava più i miei stessi sentimenti. Ricordo le sue risposte vaghe, le sue giustificazioni poco plausibili, dette con quel tono distante, secco, troppo calmo per una mediterranea come me. Mi rimbombano in testa quelle sue cinque parole che chiudevano i nostri litigi….“Oh please, stop hassling me.” 

 

Ricordo che appena alzai la voce per digli che così non potevamo andare avanti lui mi disse che si sarebbe andato a riposare e avremmo ripreso il discorso quando si sarebbe svegliato.
Non posso dimenticare quanto piansi, quella volta e tutte quelle che seguirono. Lacrime acide e dolorose come il succo di un limone strozzato. Lo stomaco in subbuglio, il petto indolenzito dal pianto troppo feroce fatto di singhiozzi e sospiri rapidi e tremolanti. Ricordo tutto come se fosse ieri.

 

Ma non potevo fare a meno di lui. Ne ero pazzamente innamorata ed ero entrata in quel vortice in cui una donna non ha più la concezione di se stessa in quanto ad individuo dotato della consapevolezza del proprio valore. Concepivo la mia esistenza solo attraverso la nostra vita in due. Pensavo che sarei potuta morire senza di lui. Avevo avuto parecchie storie serie prima di Frank, semi-convivenze, relazioni durature con tanto di ricordi a seguito, vacanze in montagna, momenti di intimità, tutte finite per mancanza di questo brivido che solo lui era riuscito a tenere vivo dentro di me. Erano passati solo 5 mesi e a me sembrava di aver avuto solo lui nella mia vita, cancellando tutto ciò che era esistito prima. 5 mesi di un’intensità inspiegabile a parole, pagine piene di sensazioni, di una memoria piena zeppa di ricordi, come una spugna in una vasca d’acqua schiumosa.

 

E quindi, passò un altro mese fra alti e bassi, più lui si allontanava da me, più io ne ero innamorata. Le sue notti insonni a guardare il buio e a fumarsi la sua centesima sigaretta divennero sempre più frequenti, facevamo l'amore di rado e io mi sentivo indesiderata. Provai a levarmelo dalla testa, iniziai ad uscire con le mie amiche, a ubriacarmi e a farmi desiderare da altri ragazzi ma appena sentivo che poteva succedere qualcosa, tornavo in me e scappavo a casa, svegliandolo di notte e chiedendogli cosa ci fosse in me di tanto sbagliato da non riuscire a farmi amare da lui quanto necessitassi.  Ero diventata patetica. Una donna priva di autostima che a nulla serviva essere bellissima, a nulla serviva essere una brava imprenditrice.

 

 

Dopo un mese, ci trasferimmo definitivamente a Dublino. Ciò che accadde allora non potreste mai nemmeno immaginarlo.....

 

....lo saprete ben presto, alla prossima puntata......

 

 

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